Pomo della discordia il bonus bebè. Tutti contro tutti. Renzi soffia sul fuoco. Gentiloni incontra Cgil, Cisl, Uil: le pensioni scottano, il lavoro c’è, ma è tutto precario
Di Alessandro Cardulli
Sullo sfondo le elezioni siciliane che Renzi teme come la peste. E se ne tiene lontano il più possibile. Gli preme solo dire che non hanno “carattere nazionale”. E dal suo clan gli fanno eco. Ma è noto a tutti che per il segretario del Pd il voto siciliano è come una partita di Risiko. Gentiloni, pover’uomo, segue tutto con crescente affanno. Proprio domani, il giorno dei morti, ha fissato l’incontro richiesto da tempo con i segretari generali di Cgil, Cisl, Uil. Tema spinoso le pensioni, l’adeguamento automatico dell’età pensionabile alle speranze di vita che spinge sempre più lontano il momento in cui uno può cessare di lavorare. Problema che non riguarda solo chi è vicino all’età pensionabile e se la vede sfuggire sotto gli occhi ma anche gli attuali giovani che, proseguendo di questo passo, in pensione non andranno mai. Non si discuterà solo di previdenza. Cgil, Cisl, Uil nel promemoria inviato a Gentiloni ricordano che c’era un verbale di intesa firmato più di un anno fa che riguardava le pensioni, il lavoro, ai giovani in particolare, la sanità, i contratti. Insomma un “pacchetto” molto importante appena sfiorato dalla manovra di Bilancio, quando non eluso come è avvenuto per previdenza e sanità. Una manovra di bilancio che non risponde ai criteri di uguaglianza, non guarda al lavoro come il perno attorno al quale deve girare la politica economica e sociale. Se c’è lavoro non c’è bisogno di inventare “bonus”, mance in chiave elettorale. Insomma, verrebbe da dire a Gentiloni di “non stare sereno”. I problemi in questo fine legislatura sono tanti, di molti porta la massima responsabilità Renzi Matteo con il “suo” triennio a Palazzo Chigi. Ma l’attuale inquilino di Palazzo Chigi non può chiamarsi fuori, in particolare dopo gli otto voti di fiducia per far approvare la legge elettorale.
Il premier di ritorno dall’India fa l’elogio dello yoga. Ne ha proprio bisogno
Gentiloni torna dall’India, e insieme alla moglie fa l’elogio dello yoga. Si propongono di praticarlo. Ne hanno bisogno. Perché nel Pd, sono pronti a sbranarlo. Non ci sono solo gli alfaniani che minacciano fuoco e fiamme perché dalla manovra di Bilancio è scomparso il “bonus bebè”. In una “accozzaglia”, così abbiamo definito le leggi di Bilancio in discussione al Senato ed i fatti ci danno ragione. Dicono Lupi e gli altri di Ap, che senza bebè la legge non è votabile. Alfano che è il loro capo, ministro degli Esteri, pensate un po’, tace ma non è certo estraneo all’attacco a Gentiloni. Se viene a mancare il loro voto anche la scialuppa di salvataggio di Verdini non può far niente per assicurare l’approvazione della “accozzaglia” messa in piedi dal ministro Padoan. Il quale, fra l’altro, deve fare i conti con i Commissari Ue. O meglio rifare i conti perché a parere di Moscovici e Dombrovskis sono sbagliati, c’è un buco di 1,7 miliardi. Ancora una volta, così come sulla questione dell’età pensionabile Renzi Matteo si muove nel sottofondo. Aveva chiesto infatti che venisse bloccato l’adeguamento dell’età della pensione, sollevando le ire, nascoste, di Padoan e dello stesso Gentiloni. Ma il segretario del Pd non era a conoscenza dell’esistenza di questo problema? Autorevoli esponenti del Pd, come il presidente della Commissione lavoro della Camera, Damiano, si erano battuti contro quella norma, ritenuta “iniqua” anche a dire del presidente della Commissione lavoro del Senato, Sacconi, Forza Italia. La scena si ripete sul bonus bebè, si va ad aggiungere allo scontro fra Renzi e Gentiloni sulla nomina del governatore di Bankitalia.
Senatori Pd con gli alfaniani. Vogliamo i bonus bebé. Renzi approva
Arriva una letterina a firma di numerosi senatori Pd, area cattolici democratici in cui si afferma: “La scelta del Governo di non rifinanziare il bonus bebè e di non considerare alcune proposte auspicate da diversi senatori come l’innalzamento della soglia di reddito di ogni figlio, affinché continui ad essere considerato a carico, e del contributo forfettario a favore delle famiglie numerose, appare incomprensibile e non condivisibile”, firmato dai senatori Pd Lepri, Di Giorgi, Cociancich, Collina, Cucca, Dalla Zuanna, Fasiolo, Fattorini, Favero, Lanzillotta, Marino, Moscardelli, Pagliari, Orru, Saggese, Santini, Scalia. Stessa area di Alfano. Annunciano “emendamenti” per rendere la manovra di bilancio coerente con le indicazioni di Matteo Renzi, che ha individuato nel “maggiore sostegno per i figli a carico una priorità assoluta”. E Renzi fa sapere che concorda con questa presa di posizione. Sempre dal Pd viene un emendamento con il quale si chiede di rinviare di sei mesi il decreto che fa scattare l’aumento dell’età per la pensione a 67 anni dal 2019. La proposta di modifica è stata sottoscritta da diversi senatori del Pd della Commissione Lavoro. Negli scorsi giorni l’ala renziana del Pd aveva spinto per rivedere lo scalino previsto dalla riforma Fornero. Ne è prova il fatto che, improvvisamente, il ministro Poletti, difensore della legge Fornero, ora la critica aspramente.
La povertà si combatte con adeguate politiche economiche sociali
Verrebbe da dire, “finalmente si sono accorti degli errori commessi nella stesura della manovra di Bilancio”. Ma così non è. La “Finanziaria” come si chiamava una volta non si rattoppa, con un bonus più o meno. Intanto perché bonus chiama bonus specialmente in vista di elezioni. La politica dei bonus è come le ciliegie, una tira l’altra. Diventa un vestito di Arlecchino, esposta agli appetiti di questa o quella clientela. Il problema previdenza non si risolve colpendo i lavoratori, spostando sempre più avanti l’età pensionabile. Occorre rivedere nel profondo la legge Fornero. Così come gli interventi per combattere la povertà sono solo dei palliativi. Non è “pagando” la nascita dei figli, ma assicurando lavoro e reddito alle famiglie. Leggendo i 120 articoli della legge si ha la conferma che per il governo la povertà si combatte con interventi che hanno il sapore dell’elemosina. Ma sul versante lavoro, per i giovani in primo luogo che vivono a carico dei genitori e dei nonni, la manovra si muove su vecchi binari, soldi a raffica, donati alle imprese, il fallimento del jobs act.
Su cento assunti solo sette stabili. I media, Rai in testa, lo nascondano
Ancora più grave che dal governo, dal Pd, dagli economisti al soldo di Palazzo Chigi, dalla squadra di Renzi Matteo si lanciano grida di gioia perché i posti di lavoro aumentano. Ormai il “milione” di lavoratori in più è diventato uno slogan. Ministri, vice ministri, sottosegretari, Gentiloni in primo luogo, ne danno il merito alle politiche, le chiamano “riforme” del triennio renziano, poi proseguite in questo anno. La realtà, che i media come al solito nascondono è ben altra. In particolare nel giochino delle falsità si distingue il servizio pubblico, la Rai. Non c’è e con c’è mai stato quel milione in più, il ritorno ai numeri relativi alla occupazione del 2008. Fa eccezione il Corriere della Sera con un editoriale che titola “Occupazione, a settembre non decolla. E le assunzioni stabili sono solo 7 su 100”. Nell’articolo si fa notare che non solo non aumenta l’occupazione, non crescono neppure i salari e l’inflazione. Inflazione che in una economia equilibrata sono il segno che le cose vanno bene, che le famiglie possono spendere. Non è un caso che il presidente della Bce, Mario Draghi fissi al 2% l’inflazione standard che indica lo sviluppo. Peccato che l’articolo sia relegato a pagina 28, senza alcun richiamo in prima pagina.