Scritto da Sandro Marucci
Alda Merini si è spenta, a settantotto anni, il primo novembre 2009. Ha avuto funerali di Stato con camera ardente in Duomo. La sua tomba è nel cimitero monumentale di Milano nella cripta del Famedio destinata alla sepoltura dei personaggi illustri. Dopo una vita più che difficile, dentro e fuori dalle cliniche psichiatriche e un lungo periodo di difficoltà economiche, una morte con tanti onori.
A seguito del “Bacchelli”, però: molti che la conoscono oggi come poetessa di culto forse non lo sanno. Figlia di un impiegato delle assicurazioni della Fabbrica del Duomo e di una casalinga, Alda Merini nasce a Milano nel 1931, il primo giorno di primavera, un auspicio di felicità che è stato contraddetto dalla realtà: tra le sue disgrazie la separazione dai figli a causa della malattia mentale, un dolore che sfogava con chiunque la incontrasse. Fino ai primi anni ’90 il suo nome diceva ben poco. Rari, affezionati amici, raccoglievano i versi che lei non scriveva ma improvvisava, con talento stupefacente, pubblicati da piccolissimi, coraggiosi editori senza avere commercio. Anche se la prima edizione del 1991 di Vuoto d’amore, dove raccontava il suo calvario in manicomio, avvenne grazie a Einaudi. Ma nel 1995 accadde che la stampa scoprisse e riscoprisse la poetessa dei Navigli. Cosa era accaduto?
Il 21 luglio 1995 il Consiglio dei Ministri su proposta del Presidente del Consiglio Lamberto Dini aveva deliberato “la concessione di un assegno straordinario vitalizio (a norma della cosiddetta legge Bacchelli) alla poetessa Alda Merini”. La legge n. 440 dell’8 agosto 1985 porta il nome di Riccardo Bacchelli, sebbene lo scrittore finito in povertà non poté beneficiarne perché morì nell’ottobre dello stesso anno, prima che entrasse in vigore. Era stata promulgata dal governo Craxi e istituiva presso la presidenza del consiglio un fondo “a favore dei cittadini illustri che versino in stato di particolare necessità i quali possono usufruire di contributi vitalizi utili al loro sostentamento”. L’assegnazione del Bacchelli fu il felice epilogo di un’iniziativa intrapresa con tenacia da un’amica, oltre che estimatrice di Alda, Bruna Alasia, giornalista che aveva avuto in sorte di lavorare come addetto stampa al gruppo parlamentare Misto della Camera dei Deputati e sapeva come, già una prima volta, il vitalizio le fosse stato rifiutato. In favore della poetessa milanese Bruna Alasia dette vita, nel giugno 1995, a un battagliero comitato di solidarietà che fra i primi firmatari dell’appello “Sosteniamo un poeta” ebbe i senatori verdi Edo Ronchi e Luigi Manconi, la senatrice di Rifondazione Comunista Ersilia Salvato, il deputato dei Democratici Luciana Sbarbati, membro della commissione cultura della Camera: tutti uomini e donne della sinistra parlamentare, e l’imprenditrice Marina Salomon. Da un ufficio stampa nato sul campo ne fu subito comunicata notizia alle agenzie e la proposta cominciò a girare. Nel giro di poco, al presidente del consiglio Lamberto Dini arrivò un’interrogazione del gruppo al Senato dei Progressisti Verdi – La rete, primo firmatario il sen. Edo Ronchi nella quale era detto che il rifiuto opposto alla richiesta del Bacchelli per la Merini dal sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta non aveva fondamento perché l’obiezione che l’interessata viveva in una casa di proprietà era contestabile per le fatiscenti condizioni. Il rifiuto era stato motivato anche con il fatto che la Merini fosse titolare della pensione sociale e di un assegno di reversibilità del marito artigiano, ma le due insieme non bastavano a un decoroso tenore di vita dell’anziana poetessa che viveva sola. Di conseguenza molti parlamentari si mobilitarono per la Merini: “Nella convinzione che la poesia non appartiene alla sfera del superfluo e che gli artisti sono per ogni paese una ricchezza, le rinnovo l’invito a rivedere il diniego all’assegnazione del vitalizio per Alda Merini”. Così scrisse Luciana Sbarbati, vice-presidente del gruppo I Democratici e membro della commissione cultura della Camera, al presidente del Consiglio Lamberto Dini. Analogo intervento fece la senatrice Ersilia Salvato di Rifondazione Comunista. Sottoscrissero l’appello, tra gli altri, cinque grandi poeti quali Mario Luzi, Piero Bigonciari, Andrea Zanzotto, Giovanni Raboni e Maria Luisa Spaziani. Il 6 marzo 1995 prese vita la manifestazione di piazza “Poeti a Montecitorio”.
In breve, l’attivissimo ufficio stampa del comitato pro Alda Merini, in altre parole Bruna, distribuì un comunicato con l’elenco delle personalità che adeguatamente contattate si erano dette favorevoli alla concessione del vitalizio. Nomi eccellenti tra cui Walter Veltroni, i senatori dei Verdi Enrico Falqui, Carla Rocchi, Maurizio Pieroni, Mauro Paissan e Giovanni Lubrano Di Ricco, i senatori della Rete Anna Maria Abramonte e Carmine Mancuso, i deputati progressisti Carol Beebe Tarantelli e Ferdinando Adornato, i deputati del gruppo misto Giovanni Saonara e Marida Bolognesi, questore della Camera, i senatori di Rifondazione comunista Fausto Marchetti e Piergiorgio Bergonzi, l’ex-ministro della famiglia Antonio Guidi, i giornalisti Enzo Biagi e Corrado Augias, Vittorio Gassman, Pippo Baudo, i registi Carlo Lizzani, Lina Wertmuller, Giuliano Montaldo, Dino Risi, Liliana Cavani, Massimo Guglielmi, gli scrittori Alberto Bevilacqua, Enzo Siciliano, Elisabetta Rasy, Vittoria Ronchey, Maria Corti, Renato Minore e Franco Alasia, i critici Franco Cordelli, Giulio Ferroni e Roberto Cotroneo, il Premio Strega come istituzione, e tanti altri. Il presidente del Senato Carlo Scognamiglio intervenne personalmente sul capo del governo per sollecitare la concessione del vitalizio.
Inutile aggiungere che i giornali fecero la loro parte. Allora io lavoravo al TG2 RAI e presi appuntamento con Alda: “Viene un giornalista da Roma per intervistare me? Che bello!”. Si fa trovare sul pianerottolo, si direbbe in déshabillé, se non fosse che è luglio e Milano bolle. Fatto accomodare chi scrive su una poltrona sfondata e offerto un bicchiere di vino di modesta qualità comincia a raccontare. “Eccomi qua, sola, il prestinaio (al marito panettiere aveva dedicato una poesia n.d.r.) se n’è andato anni fa, troppo presto, le figlie, eh! beato chi le vede, i vicini sono delle bestie che mi fanno i dispetti, i miei amici sono i barboni che incontro quando vado a fare la spesa”. Con quei barboni, la Merini ha spartito i soldi quando li aveva: anche i trentacinque milioni di lire del premio Montale, assegnatole nel 1993, che ha dilapidato rapidamente concedendosi un costoso soggiorno all’hotel Certosa. Ma lei non se ne cura: si mostra appena contenta quando sa che un’edizione serale del TG 2 ha parlato di lei come di “una poetessa povera che andrebbe aiutata”. In quei giorni Giovanni Raboni ne aveva scritto sul Corriere della sera denunciando un “caso Merini”.
Tale mobilitazione portò finalmente al successo. Avuta notizia del vitalizio Alda Merini ringraziò il presidente del Consiglio Dini e lo fece da par suo: “Caro Presidente, grazie per aver onorato la follia. Chi è portatore di questo carma è colui che viaggia senza scorta, ma che conosce bene, per sua introspezione naturale, il passato, il presente dell’uomo. Egli è l’uomo per eccellenza, colui che si abbandona al destino, che non lo risolve, che non lo annienta, ma che lo combatte con le sue spade d’ansia. Con il governo il poeta è ansioso per le sorti d’Italia e vorrebbe che la poesia diventasse parte della legge e che la legge dell’Italia fosse il sorriso. Grazie con affetto Alda Merini”. L’assegno della Bacchelli (circa 1.600.000 lire mensili che oggi equivalgono a 800 euro) Alda Merini lo ha ricevuto per 14 anni, ma non per questo ha cambiato vita. Nella casa sui Navigli continuava a scrivere, a suonare il piano anche nelle ore meno indicate per la disperazione dei vicini, ma soprattutto riceveva nel suo abituale disordine domestico chi andava a farle visita: giornalisti, scrittori, editori, la tevelsione, perché intanto era diventata famosa. Fu spesso ospite del Maurizio Costanzo Show, la pubblicazione dei suoi ultimi libri fece registrare vendite sempre più lusinghiere. Era, finalmente la fama, in ritardo di molti anni ma meritatissima.