Sono mancati a pochi giorni di distanza. Dialogo nella morte come erano stati in dialogo durante la vita. Lo Sheikh Abd al Wahid Pallavicini si è spento domenica 12 novembre, a 91 anni. Pioniere musulmano del dialogo interreligioso e testimone d’eccezione del ‘900, Pallavicini ha percorso i poli da Occidente a Oriente. La sua conversione all’Islam nelle mani di Titus Ibrahim Burckhardt è avvenuta il 7 gennaio 1951, mentre si spegneva al Cairo il metafisico francese René Guénon. Negli anni ’80 ha fondato la Co.Re.Is., Comunità religiosa islamica – riportando dopo settecento anni l’Islam in Italia -, e in Francia l’Institut des Hautes Islamiques. Si tratta di comunità di musulmani autoctone, ricollegate al sufismo tradizionale. Mercoledì 15, è morto Rav Giuseppe Laras, rabbino capo prima ad Ancona, poi a Livorno e infine a Milano, dove per 25 anni ha guidato la locale comunità ebraica. Laras, torinese, classe 1935, studioso di filosofia medievale, professore universitario, “figlio della Shoah”, che gli ha strappato la mamma e la nonna, è stato uno dei maggiori protagonisti del dialogo ebraico-cristiano e grande amico del cardinale Carlo Maria Martini, conosciuto negli anni ’80, quando quest’ultimo era vescovo dell’arcidiocesi di Milano. «Il cammino del dialogo dopo l’enciclica Nostra Aetate (documento scaturito dal Concilio Vaticano II, con cui la Chiesa cattolica rigettava qualsiasi forma di antisemitismo e apriva agli ebrei, ndr) – diceva – non è stato facile. Dopo tutto quello che gli ebrei hanno subito, all’inizio c’era molta diffidenza».
Negli anni ’90 ci fu l’avvicinamento alla Co.Re.Is. Rav Laras è stato il primo rabbino a visitare la moschea Al-Wahid di via Meda a Milano, luogo di culto attorno al quale nacque in condivisione il progetto interreligioso della “Gerusalemme sui Navigli”, significativo momento di dialogo fra esponenti delle tre religioni monoteiste, alla vigilia dell’incontro in Vaticano fra papa Francesco, Abu Mazen e Shimon Peres. Sono poi seguite altre iniziative, tra cui visite reciproche in sinagoga e moschea, sempre – dicono dalla Co.Re.Is., «con l’eccezionale qualità che contraddistingueva la finezza intellettuale, profondità dottrinale e sensibilità al dialogo interreligioso unica del rabbino. Ci colpisce molto che a pochi giorni di distanza dalla scomparsa del nostro Sheikh anche il suo più grande amico rabbino abbia lasciato questo mondo per l’Altro. Quasi a pensare che così come erano uniti nella testimonianza fraterna per la pace in questo mondo si possano ora ritrovare fraternamente uniti nella grande Pace dello Spirito. Continuiamo nel dialogo portando avanti l’eccezionale esempio e insegnamenti di chi ci ha preceduto e aperto la strada».
Entrambi leggevano con preoccupazione alcuni eventi che stanno contrassegnando la nostra epoca. Pallavicini, la cui eredità è stata raccolta dal figlio Yahya, chiedeva alle autorità civili “di sostenere anche fattivamente l’Islam, una realtà spirituale eccezionale nel suo genere, dalla quale possono dipendere non pochi delicati equilibri nei rapporti fra Oriente e Occidente, equilibri che potrebbero divenire ancora più importanti nel corso dei prossimi anni” (“Il nome di Dio nell’Islam”, Edizioni Il Messaggero, Padova, 2016).
“Oggi sono testimone del sorgere di una nuova ondata di antisemitismo (specie nella sua ambigua forma di antisionismo), del tradimento delle sinistre e del rapido declino intellettuale e morale della civiltà occidentale – scrive Laras nel suo testamento spirituale -. Nuove sfide e nuove angosce si stanno proiettando sul nostro mondo. Dell’Europa occidentale che abbiamo conosciuto non sappiamo quanto rimarrà e molto muterà, con disillusioni e, forse, speranze: la strada particolare di noi ebrei, come sta già avvenendo in Francia e Belgio, nonché nel consesso internazionale, è probabile che sia in salita e strettissima. Tuttavia, oggi la nostra esistenza non è più, ringraziando il Santo e Benedetto e l’impegno di moltissimi, in totale balia delle Nazioni. Il nostro ebraismo italiano è giunto a una fase accelerata di consunzione e inaridimento. Il nuovo Statuto è già vecchio e privo di vigore nella pratica, sicché servirà quanto prima un congresso straordinario, ove siedano assieme rabbini, presidenti di comunità e consiglieri, giovani, lucidi analisti ebrei dalla Francia e da Israele, membri delle kehillòt italiane in Eretz Israel. È necessario e quanto mai urgente pensare, senza romanticismi, senza compiacimenti esterni e senza voler indorare pillola alcuna, a un’architettura nuova per le sfide prossime che solleciteranno l’ebraismo italiano dopo un cammino secolare”.