Il pedagogista Francesco Tonucci, promotore del progetto che permette ai bambini di andare autonomamente a scuola fin dalla prima elementare, interviene nel dibattito sulle restrizioni seguite alla sentenza della Cassazione. “In 23 anni di progetto, nessun incidente. Impedire l’autonomia sarebbe una resa colpevole e grave”
ROMA – “A scuola ci andiamo da soli”: non è uno slogan, ma un auspicio e soprattutto un diritto, quello che dà il nome a un progetto nato nel 1994 nell’ambito del programma internazionale del Cnr “La città dei bambini”. Un progetto che sembra andare in una direzione completamente diversa da quella indicata, nei giorni scorsi, dalla ministra dell’Istruzione Fedeli, che ha affidato a una nota la sua determinazione in merito alla questione forse più dibattuta nelle istituzioni scolastiche negli ultimi mesi: in estrema sintesi, fanno bene i dirigenti scolastici ad attenersi alle disposizioni della Corte di Cassazione, che di fatto prevede che i minori 14 anni siano affidati, all’uscita di scuola, esclusivamente a un adulto, genitore o suo delegato.
L’antefatto. La prassi, ormai diffusa e consolidata, di lascare ai bambin e ai ragazzi, con l’ingresso alla secondaria di rpimo grado, di uscire autonomamente da scuola,è stata bruscamente interrotta da una sentenza della Corte di Cassazione, riferita a un caso avvenuto nel lontano 2002, quando un ragazzo di 11 anni fu mortalmente investito da un autobus di linea, dopo essere autonomamente uscito da scuola. 15 anni dopo, cioè nel settembre scorso, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21593, ha condannato preside e docente per non aver consegnato il bambino a un adulto. Il pronunciamento della Corte ha comprensibilmente allarmato dirigenti e docenti, che in molte scuole hanno vietato l’uscita autonoma dei ragazzi. Una posizione, questa, approvata e rinforzata dal recente comunicato ufficiale della ministra Fedeli, che ha rinviato a una prossima iniziativa legislativa una decisiva e chiara disciplina in materia. Nell’attesa, nessuno potrà uscire da solo, almeno in teoria, fino al compimento dei 14 anni.
Diverse le reazioni a questo improvviso cambio di rotta, che non solo interferisce con le abitudini e le esigenze familiari (considerando che nella scuola secondaria di primo grado non è previsto il tempo pieno e l’uscita avviene quindi alle 14), ma ha anche pesanti conseguenze educative e pedagogiche, come segnala con evidenza Francesco Tonucci, responsabile del reparto di Psicopedagogia del Cnr e tra i promotori del progetto “La città dei bambini” e, nell’ambito di questo, dell’’iniziativa “A scuola ci andiamo da soli”.
Dottor Tonucci, cosa significa per un bambino andare e tornare a scuola da solo? Qual è l’età “giusta” per farlo? E perché è tanto importante che questo accada?
Le esperienze più importanti per lo sviluppo psichico, sociale e delle abilità avvengono “fuori” e “insieme”. Fuori di casa, di scuola, insieme ad amiche ed amici. Rispetto alla specifica esperienza dell’andare a scuola e tornare a casa da soli, noi lo proponiamo dalla prima classe delle primarie, dai sei anni. Secondo Bruner, un bambino prima di entrare per la prima volta in classe ha già sviluppato più dell’80% delle sue potenzialità. I nostri politici dovrebbero studiare e trasferire nei nostri ordinamenti le conoscenze ormai consolidate dalla ricerca scientifica. Tutto questo è di estrema importanza, perché solo uscendo di casa con i propri amici e amiche, le bambine e i bambini possono vivere l’esperienza fondamentale dell’avventura, della scoperta, della sorpresa, della meraviglia; incontrare l’ostacolo e il rischio, provare la soddisfazione di superarli o la frustrazione di non farcela. Tutte conquiste impossibili, se è presente un adulto che controlla, accompagna, vigila.
Come reputa la problematica emersa intorno a questo tema?
L’Italia è uno dei paesi con il livello più basso di autonomia nei bambini della scuola dell’obbligo. A fronte del nostro 7% di autonomia sul percorso casa scuola dai 6 agli 11 anni abbiamo più del 70% in Germania e il 90% in Finlandia. Non mi sembra possano esserci ragioni ambientali o sociali che giustifichino queste differenze e non so spiegare eventuali ragioni culturali. Si consideri che gli unici incidenti che soffrono i nostri bambini sono incidenti domestici e di auto (dei genitori). Per cui i luoghi più pericolosi dove farli stare sono la loro casa e l’auto dei genitori!
Quali effetti potrebbe avere un allineamento generale, da parte dei dirigenti scolastici, alla sentenza della Cassazione?
Sarebbe una resa colpevole e grave. Credo che in questo momento, sperando che presto il Parlamento si occupi della questione, sia giusto sperare in una disobbedienza civile di tutti quei dirigenti che, informati dei dati scientifici, non rinunceranno a difendere il diritto all’autonomia dei loro alunni e non parlo solo di quelli della secondaria, ma anche della scuola primaria.
Parliamo del progetto “A scuola ci andiamo da soli”: come, perché e dove lo state realizzando?
La nostra proposta si chiama “A scuola ci andiamo da soli” ma i bambini preferiscono giustamente chiamarla “A scuola ci andiamo con gli amici”. Dal 1994 la proponiamo per aiutare le famiglie a restituire autonomia di movimento ai loro figli, fin dalla prima classe della scuola primaria, ritenendo che dai sei anni i bambini hanno tutte le capacità fisiche e cognitive per vivere responsabilmente questa esperienza. Essendo una proposta radicale, ha bisogno di una lunga preparazione: attività con i bambini per lo studio dei percorsi; con le famiglie per superare la ingiuste paure; con gli anziani e i commercianti del quartiere perché offrano ai bambini che si muovono da soli l’aiuto eventualmente necessario. Si ricostruisce così, attorno alle scuole, un ambiente cooperativo, interessato e attento che rende sicuri i percorsi dei bambini. Un risultato, per la sicurezza delle nostre città, più efficace della presenza di telecamere o dell’aumento della polizia. E i risultati sono importanti: se il lavoro si è svolto correttamente, le adesioni delle famiglie di solito superano la percentuale del 50%. Queste esperienza si sta realizzando in molte città della nostra rete internazionale. In oltre 20 anni di esperienza, con decine di migliaia di bambini coinvolti, non abbiamo avuto notizia di incidenti a bambini che si muovevano con gli amici all’interno del nostro progetto!. Sembra quindi veramente grottesco considerare una esperienza come questa, così carica di valori educativi e di coinvolgimenti sociali, un caso di “abbandono dei minori”. (cl)