Insieme a tutte le altre iniziative previste, partirà nella giornata odierna dedicata alla violenza di genere, la campagna dell’ONU UNiTE centrata sul tema “Nessuno deve essere lasciato indietro: poniamo fine alla violenza contro le donne e le ragazze”. Un no stop di attivismo che durerà 16 giorni, ovvero fino al 10 dicembre, giornata dedicata ai diritti umani. Un ‘ponte’ voluto proprio perché aggredire, maltrattare, stuprare, uccidere un altro essere umano equivale a violare la sua persona e i suoi diritti. Un ‘ponte’ che per il movimento One Billion Rising dell’attivista americana Eve Ensler arriverà fino al 14 febbraio 2018 con la campagna Solidarietà, voluta per fermare qualsiasi forma di abuso o violenza ai danni di donne e bambine. Mentre rappresenta un lungo cammino per le organizzatrici della manifestazione nazionale a Roma Non Una di Meno intenzionate ad andare avanti fino a quando non ci saremo davvero affrancati dalla violenza di genere in tutte le sue forme. Un percorso di libertà e liberazione che coinvolge migliaia di donne, trans e queer.
Il quarto rapporto di Eures sul femminicidio in Italia rivela che sono 114 le vittime nei primi dieci mesi del 2017. 114 donne che hanno perso la vita per morte violenta. E se l’omicidio non può mai avere una motivazione valida a giustificarlo, in questi casi davvero bisogna ammettere che la ricerca arcaica e superata di virile possesso e dominio sulla ‘propria’ donna è davvero una stupida rivendicazione che va estirpata alla radice con un accurato programma culturale che include anche trasmissioni e programmi televisivi, produzioni cinematografiche, pubblicazioni di libri e qualsiasi altro frutto della modernità che continui a inculcare, in maniera diretta o subliminale, il concetto e la divisione dei ruoli tra maschi e femmine.
È necessario agire d’impatto sulla violenza diretta, sulle aggressioni fisiche e verbali, sullo stalking, e su tutte le varie forme di violenza, a ogni livello, ma bisogna anche lavorare sulla violenza strutturale insita nella cultura dominante e trasmessa anche ai giovanissimi, spesso in maniera inconscia. Come ricorda Flavia Piccinni in Bellissime (Fandango, 2017), viviamo in una società che molto precocemente è in grado di inquadrare nei ruoli di genere l’essere umano. Ruoli che vengono inculcati e che spesso diventano una prigione, che non considera i nostri desideri e le nostre ambizioni, le nostre passioni e i nostri sogni, ma che ci proietta nel futuro esclusivamente attraverso le pressioni sociali e le aspettative degli altri.
Molto si è parlato nei giorni scorsi delle molestie poste in essere da noti esponenti dello show business e della politica e tante, purtroppo, sono state le critiche rivolte alle vittime invece che ai carnefici. Anche questo fa parte di un retaggio culturale frutto della violenza strutturale cui veniamo inconsciamente sottoposti, tutti. Una società che precocemente ipersessualizza giovani vite lasciando sottintendere che con la provocazione e la bellezza si possono raggiungere risultati altrimenti insperati è una società deviata che produce e produrrà sempre vittime e carnefici.
Basta fare un giro negli store di giocattoli per realizzare quanto, la cultura della parità di genere, sia ancora molto lontana da raggiungere. Prodotti per la pulizia della casa che riproducono fedelmente quelli da grandi, tutto il necessario per fare il bucato, la spesa e accudire bambolotti che sembrano dei bambini veri, bambole e fatine con corpi mozzafiato e accessioni glam da urlo… sono lo specchio incondizionato dei ruoli che si vorrebbe rivestissero le donne nel mondo reale: angelo del focolare o bomba sexi. Ce n’è di strada da percorrere per cambiare e sconfiggere questi stereotipi radicati da secoli di cultura sessista e maschilista.
Il corpo delle donne non è un oggetto votato alla riproduzione o al soddisfacimento dei piaceri sessuali di uomini che ne hanno il pieno controllo e per abbattere queste “certezze” radicate non basta mostrare il volto tumefatto delle donne vittime di violenza, non basta fare la conta dei morti e dei feriti, bisogna reagire e per farlo è necessario mostrare a tutti la forza della conoscenza. Portare avanti campagne di informazione, istruzione e cultura che formino le menti dei giovani, maschi o donne che siano, e mostrino loro un differente modo di emergere nella società e nel lavoro. Un metodo che non preveda provocazione o abuso ma basato sulle doti, le qualità, la conoscenza e la preparazione che ognuno deve avere e sul rispetto verso se stessi e verso gli altri.
Uno stupratore o un omicida non avrà mai paura di agire guardando l’immagine di una vittima di abusi, potrebbe addirittura essere invogliato all’emulazione. Ma avrà di certo paura di pene severe, di una società che non starà ferma ad aspettare che sia troppo tardi ma risponderà repentinamente a ogni violazione dei diritti dei suoi membri, compreso quello di non diventare vittima di un’assurda violenza motivata dalla frustrazione, dall’incapacità, dall’ignoranza che, come si è visto, coinvolge tutti i livelli economici e sociali.
Ammonta a 10 milioni di euro il finanziamento stanziato per i progetti per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere, il cui bando è consultabile sul sito governativo del Dipartimento per le pari opportunità. Supportare attività di sensibilizzazione rispetto a sei aree d’intervento, questo lo scopo dichiarato dell’iniziativa: donne migranti e rifugiate, inserimento lavorativo delle vittime di violenza, supporto alle donne detenute che hanno subito violenza, programmi di trattamento di uomini maltrattati, supporto e protezione delle donne sottoposte anche a violenza “economica” e progetti di sensibilizzazione, prevenzione ed educazione. Vengono elencati per ultimi ma in realtà i progetti di sensibilizzazione, prevenzione ed educazione devono precedere e magari prevenire la violenze e quindi i progetti conseguenti.
Il Dipartimento governativo per le pari opportunità afferma di avere una attenzione particolare verso quei progetti volti a sostenere campagne di comunicazione culturale contro la violenza di genere che include, si immagina, anche la violenza domestica. Dovrebbe includere anche la violenza strutturale. Doveroso a questo punto ricordare che è sempre frutto di un’attività governativa la scandalosa campagna di comunicazione pro fertilità, prontamente ritirata, che ha giustamente scatenato le ire di molti cittadini e cittadine, associazioni, movimenti e attivisti e che rientra a pieno titolo nell’imprigionamento in ruoli che certo non aiuta nel progresso culturale per cui si sta lottando. Errori che sarebbe preferibile non ripetere più, soprattutto nelle istituzioni pubbliche.
Enti pubblici e governativi, istituti scolastici e accademici, organizzazioni e movimenti, associazioni e attivisti anche quando agiscono privatamente hanno il dovere morale di mostrare e dimostrare la parità e l’uguaglianza tra le persone, di evitare ogni forma di violenza, anche come forma di reazione e monitorare il progresso culturale della società.
Personalmente sono stata accusata di lasciarmi fuorviare da idiosincrasie relativamente al giudizio negativo espresso in una recensione, o meglio una stroncatura. Un testo di narrativa, un romanzo indicato come adatto a tutti, venduto in tutte le librerie fisiche e digitali, pubblicato con un grande editore italiano e proposto per un concorso letterario la cui giuria popolare si compone di studenti delle superiori è stato da me additato come misogino per tanti passaggi ed espressioni presenti nel testo, ma soprattutto perché in esso l’apparato genitale maschile veniva indicato come “arma”. Quindi dovremmo tacere dinanzi al fatto che l’organo riproduttivo maschile venga indicato come arma e così proposto agli adolescenti italiani o di qualsiasi altro paese? In virtù del numero di aggressioni e violenze a scopo sessuale che ogni giorno martorizzano il nostro paese e non solo lo trovo assurdo, inutile e pericoloso. Non è la sottoscritta a peccare di idiosincrasia bensì chi ritiene gli organi riproduttivi maschili più “potenti” di quelli delle donne, di chi ritiene il corpo femminile utile solo a divenire vittima della “arma” in possesso dei maschi, di coloro che, in buone sostanza, restano ancorati a un retaggio culturale obsoleto che non può e non deve più essere trasmesso alle nuove generazioni.
È necessario e doveroso affrancare soprattutto i giovani dalla prigionia della divisione rigida dei ruoli, dai pregiudizi e dai retaggi culturali obsoleti e deleteri, e far comprendere loro la reale portata della parità e del rispetto che non si misura nella libertà di denudarsi, di essere provocanti o opportunisti, di usare la violenza o la forza… no, si tratta di avere piena coscienza dei propri diritti e fare di tutto per vederli riconosciuti.