Due comitati per l’ordine pubblico e la riunione dell’osservatorio comunale per la sicurezza non sono bastati per delineare l’assetto della comunità islamica di Aprilia, la città dormitorio, il cuscinetto tra Roma e Latina, la seconda per importanza dopo il capoluogo, con i suoi 70mila abitanti e i suoi molti problemi irrisolti. Ai quali, da un anno si è aggiunto il timore che una cellula terroristica si trovi nella immediata periferia, a Campoverde, perché è lì che sono transitati Anis Amri e Ahmed Hanachi, il primo responsabile della strage di Berlino a dicembre, il secondo autore dell’aggressione mortale a Marsiglia, il primo ottobre scorso.
Entrambi sono passati da Campoverde, dove si concentra la quasi totalità dei componenti della comunità tunisina di Aprilia, circa 160 persone, quasi tutti braccianti e muratori nella zona. Perché tutti e due lì? Perché tanti tunisini proprio in quel fazzoletto di geografia del Lazio? E’ la domanda che attraversa tutti i comitati per la sicurezza e che probabilmente è stata alla base di un recente maxi monitoraggio nelle campagne del nord della provincia di Latina. Una risposta troppo semplice e per questo ritenuta non credibile l’ha fornita uno che la città la conosce bene, ossia il sindaco Antonio Terra, espressione dei movimenti civici, alle prese da anni con serissimi guai, tipo le minacce e le intimidazioni a amministratori e dirigenti comunali, nonché con tutti gli ex siti industriali occupati di famiglie rom e immigrati senza tetto che vengono sgomberati almeno una volta al mese e puntualmente rioccupano.
Perché “Aprilia è un luogo pacifico, accogliente, un posto dove si sta bene e non c’è razzismo, dove ancora si trova un po’ di lavoro nell’agricoltura e nell’edilizia”. Parole da sindaco che vuole attutire l’attenzione mediatica ed evitare che Aprilia sia considerato un covo di terroristi islamici. Ma un giro in questo gigantesco “borgo a sud di Roma” può essere utile a comprendere che, forse, la lettura offerta dal sindaco non è solo acqua gettata sul fuoco. E bisogna per forza partire da Campoverde per capire meglio. Campoverde è un bar con la campagna sconfinata attorno e la Pontina che passa lenta, intasata e pericolosa a pochi metri. Campoverde è stato un borgo di coloni che si sono spaccati la schiena, poi ha ospitato gli operai arrivati qui per lavorare nelle fabbriche che adesso sono tutte chiuse. E’ un posto tranquillo dove vive bene la classe povera, da sempre. Questo non è un paese per ricchi e tutta Aprilia non lo è. Non ci sono casate nobiliari, né imprenditori milionari. E’ un mondo medio basso, dove però nessuno odia veramente l’altro. Dire che i tunisini scelgono Campoverde perché si sta bene equivale a descrivere le cose come stanno , non ci sono episodi di razzismo né prima, né ora e un’associazione locale attua percorsi di integrazione con dopo-scuola per bambini nordafricani e incontri di cucina etnica per le mamme.
Persino nei giorni caldi seguiti alla individuazione della vecchia residenza di Hanachi la città ha fatto dei distinguo e il tunisino che ha ucciso le ragazze è stato ricordato per ciò che era stato davvero durante il suo soggiorno da queste parti, uno che tentava furti a Latina, beveva troppo e non frequentava la moschea, anzi non si interessava di religione. C’è un’altra verità in questa caccia alla cellula terroristica pontina che è più semplice ma pure più scomoda: le campagne che circondano Aprilia, come Latina e Sabaudia, sono periferie fatte di vecchie case i cui affitti sono molto bassi e quindi accessibili agli immigrati, che per la maggior parte lavorano in agricoltura, in nero, per dieci euro al giorno, o nei cantieri per 15 euro e con quel reddito è impossibile abitare in un quartiere che non sia popolare e malandato ma ancora utile alle classi “operaie”. Quei quartieri sono ancora oggi esattamente ciò per cui sono stati costruiti. E sono posti in cui molti giovani spacciano o trasportano droga e la derivazione geografica (tunisini, napoletani, rumeni) è annullata dalla perequazione economica e sociale. Sono luoghi difficili più che fucine di terrorismo islamico e forse quello è l’aspetto più preoccupante e difficile da ammettere.
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