Turchia, a processo giornalisti dell’inchiesta sulle mail che accusavano il genero di Erdogan mentre continuano le retate della polizia

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Ennesima retata in Turchia, solito silenzio dell’Europa e degli altri attori internazionali che non riescono a frenare le repressione di ogni libertà individuale e collettiva voluta dal presidente Recep Tayyip Erdogan.
E mentre si susseguono i nuovi blitz della polizia che colpiscono ogni settore e la società civile turca, tra i fermati anche l’imprenditore e filantropo Osman Kavala, si appresta a iniziare un nuovo processo su un importante caso giudiziario che rappresenta un indiscutibile attacco alla libertà di stampa turca.
Questa volta l’accusa si concentra sulla diffusione di alcune mail del ministro dell’Energia Berat Albayrak, genero di Erdogan.
Gli imputati sono sei giornalisti, di cui tre in carcere e gli altri rilasciati su cauzione.
Nel Paese non vi è più traccia della minima parvenza di Stato di diritto, trasformato ormai in un regime che a suon di tintinnio di manette intimorisce quanti vogliano provare a opporsi al bavaglio turco e zittisce con la galera e processi sommari quanti non si piegano al volere del ‘sultano’.
La Procura di Istanbul ha emesso nelle ultima 24 oltre 150 mandati d’arresto nell’ambito di un’indagine sulla holding Kaynak per sospetti legami con FETÖ, la rete pro-islamica guidata dall’imam Fethullah Gulen considerato l’ideatore del fallito golpe del luglio 2016.
Un’operazione avviata in 24 province della Turchia, tra cui Ankara e Smirne, che secondo l’agenzia Anadolu coinvolge centinaia di dirigenti e dipendenti della holding che ha interessi in vari settori: dai media all’educazione, dai servizi logistici al turismo.
Tra gli arrestati molti sono giornalisti che vanno ad aggiungersi ai colleghi fermati ieri a İstanbul insieme a avvocati e esponenti del Partito socialista.
Intanto la prima udienza sul caso delle mail trafugate è fissata per il 24 ottobre davanti alla Corte del Tribunale di Istanbul a Çaglayan, quasi un anno dopo il loro arresto.
La vicenda è semplicemente grottesca, come le accuse rivolte agli imputati.
Tuna Ogreten, ex direttore di Diken, un portale di notizie di opposizione in Turchia, Omer Celik, redattore dell’agenzia di stampa pro-curda Dicle e Mahir Kanaat, giornalista di BirGun, un quotidiano di sinistra, i principali protagonisti di questa vicenda.
Sono stati arrestati il ​​25 dicembre dello scorso anno nell’ambito di un’inchiesta su alcune mail ‘trafugate’ al ministro Albayrak.
I sei giornalisti sono stati prelevati dalla polizia turca dalle proprie case a Istanbul, Ankara e Diyarbakir.
Secondo quanto denunciato dall’International Federations of Journalists durante l’arresto Ömer Celik è stato brutalmente malmenato, sorte toccata in seguito anche agli altri prigionieri nel corso della detenzione.
Dopo il fermo preventivo di 24 giorni, per Celik, Kanaat e Ogreten è stato confermato il carcere senza alcuna accusa ufficiale mente gli altri colleghi, Derya Okatan, Eray Sargın e Metin Yoksu, sono stati posti in libertà vigilata il 18 gennaio del 2017.
Per tutti la ‘colpa’ è di aver pubblicato articoli relativi allo scambio di mail tra Albayrak e i vertici di una società di trasporto petrolifera denominata PowerTrans, in cui lo stesso esponente del governo avrebbe un ruolo esecutivo.
A far arrivare questo materiale ai media il collettivo RedHack, noto per essere un gruppo di hacker marxisti, che ha rivendicato la responsabilità del cyber attacco e ha creato una chat di messaggistica diretta su Twitter in cui ha inserito numerosi giornalisti, senza che alcuni di essi lo chiedessero o ne fossero informati.
Questi ultimi hanno diffuso solo il contenuto con rilevanza pubblica della corrispondenza.
Tunca Ogreten, sulla base di quanto rilevato dalle mail, ha raccontato del coinvolgimento di Albayrak nella società che opera nella regione kurda dell’Iraq.
Molto prima della divulgazione di queste informazioni, un collegamento tra il marito della figlia di Erdogan e la PowerTrans era stato già ipotizzato dalla stampa dopo che il governo turco aveva concesso uno status speciale alla società.
L’imputazione scattata nei confronti degli imputati che il 24 ottobre saranno alla sbarra è di ‘violazione di segreti di Stato’ e di manipolazione dei contenuti delle mail “cercando di creare una percezione negativa del ministro Albayrak accusandolo del fallimento della politica energetica nazionale della Turchia”.
La posizione più grave appare proprio quella di Ogreten, ritenuto affiliato al DHKP-C, un movimento estremista di sinistra inserito nell’elenco dei ‘terroristî in Turchia.
I suoi difensori hanno presentato da subito un ricorso in merito ai presunti legami con il gruppo armato ma il procuratore lo ha respinto ribadendo l’accusa di ‘associazione a organizzazione terroristica’ sostenendo che RedHack era collegato al DHKP-C.
Inoltre l’ex direttore di Diken viene accusato di ‘commettere crimini’ per conto della presunta rete golpista di Gulen.
Come prova a supporto di tale coinvolgimento, il procuratore ha solo una precedente esperienza lavorativa di Ogreten nel quotidiano pro-Gulen Taraf, per il quale anche molti dei giornalisti ‘governativi’ di oggi hanno scritto.
Taraf è tra le decine di media che il governo turco ha chiuso per presunti legami con gruppi terroristici sulla base dei decreti emessi sotto lo ‘stato di emergenza’.
Da quando è iniziato il repulisti di Erdogan nei confronti degli operatori dell’informazione ‘sgraditi’, molti giornalisti si sono spontaneamente presentati in tribunale appena saputo che la polizia si era presentata, o fosse in procinto di farlo, al loro domicilio per arrestarli.
Ma questo non li ha salvatî dalla prigione.
Sono oltre 170 i colleghi della stampa turca, o con doppia nazionalità come Deniz Yucel, corrispondente del quotidiano tedesco Die Weit, attualmente in carcere in Turchia.
Yucel, anch’egli arresto nell’ambito dell’indagine sulla fuga di notizie per mano di RedHack, è tenuto in isolamento da quasi un anno senza che sia stata formulata alcuna accusa ufficiale e sulla base dei suoi articoli sul conflitto curdo.
Che tutto il giornalismo libero nel Paese sia sotto processo è ormai un dato di fatto.
Emblematico anche un altro processo, a carico dei vertici editoriali e dei redattori di Cumhuriyet, storico quotidiano di opposizione che riprenderà il 31 ottobre: 18 persone alla sbarra per i titoli e il contenuto degli articoli pubblicati e non per le presunte azioni pro-terrorismo che a loro vengono imputate.
 
 

 

 

 

 

 


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