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Reddito d’inclusione, Asgi: “Un aiuto contro la povertà, ma non per stranieri”

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L’Associazione studi giuridici sull’immigrazione prende spunto dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto che introduce il Rei e contesta il fatto che, dallo stesso, rimangano esclusi gli stranieri privi di permesso di lungo soggiorno”

 

ROMA – Dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri il 29 agosto scorso , il 13 ottobre 2017 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Presidente della Repubblica che introduce il Reddito di inclusione, una misura nazionale di contrasto alla povertà che, denuncia l’Asgi, “ancora una volta esclude gli stranieri privi di permesso di lungo soggiorno”.
Il decreto legislativo, infatti, introduce, a decorrere dal 1 gennaio 2018, una misura “di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale a carattere universale, condizionata alla prova dei mezzi e all’adesione a un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale” (art.1).

L’Asgi ricorda, in estrema sintesi, le caratteristiche dell’intervento, e punta il dito soprattutto sui requisiti personali. “Al ReI – ricorda – possono accedere solo i nuclei familiari che si trovano in una delle condizioni già previste per il SIA, e cioè abbiano al proprio interno: o un componente minore di anni 18; o un componente con disabilità e un suo genitore; o un disoccupato di più di 55 anni che abbia cessato di percepire un trattamento di disoccupazione da almeno tre mesi. Infine il richiedente deve essere ‘residente in Italia, in via continuativa, da almeno due anni al momento della presentazione della domanda’ (art. 3)”.

Insomma resta, come già per il SIA, la questione dei requisiti “di nazionalità”.
“Il componente che richiede la misura (e dunque non tutti i componenti del nucleo) deve avere uno dei seguenti status: cittadino italiano, cittadino dell’Unione, familiare di un cittadino dell’Unione, titolare del permesso di lungo soggiorno – continua l’Asgi -. Resterebbero quindi esclusi i titolari dello status di rifugiato o protezione sussidiaria, il che è paradossale se si considera che già in occasione di due analoghe esclusioni, l’Inps era dovuto intervenire con propria circolare estendendo ai titolari di detti status – in attuazione di quanto previsto dall’art. 29 direttiva UE 2011/95  – un beneficio che  la legge non aveva previsto: il riferimento è all’assegno di natalità (cfr. circolare n. 93 dell’ 8 maggio 2015) e all’assegno di maternità di base (cfr. circolare n. 9 del 22 gennaio 2010). Vedremo se anche questa volta l’Inps interverrà nello stesso senso, ma certo la tecnica della legislazione che procede ‘per errori’ affidando poi la correzione alle circolari è davvero criticabile e continua a favorire l’incertezza del diritto”.

Continua l’Asgi: “Sono parimenti esclusi i titolari di permesso unico lavoro. Valgono in proposito le osservazioni già fatte a proposito del SIA (si veda al link). Anche in questo caso la riconduzione della prestazione nell’ambito della direttiva 2011/98 potrebbe essere dubbia, stante le caratteristiche più discrezionali del beneficio (quantomeno con riferimento alla possibilità di sanzione e revoca) e stante la finalità (il contrasto alla povertà) che non è di per sé inclusa nell’elenco dei rischi di cui all’art. 3 regolamento 883/04, cui la direttiva rinvia”.

Resta tuttavia il fatto che fino a quando sarà riservato a disabili, minori, donne in gravidanza o anziani disoccupati, la misura si configura come un intervento rivolto a tutelare da rischi pienamente compresi nell’elenco di cui all’art. 3 (rispettivamente: disabilità, famiglia, maternità, disoccupazione) e dunque ben potrebbe ricondursi nell’ambito della direttiva e della relativa clausola paritaria prevista dall’art. 12. Ma resta soprattutto l’irragionevolezza (che ben potrebbe sfociare in una censura di incostituzionalità ex artt. 2, 3 e 34) di escludere dal beneficio proprio gli stranieri che, a causa della assenza di reddito, non sono riusciti ad accedere al permesso di lungo periodo; esclusione tanto più illogica ove si consideri che il ‘radicamento territoriale’ è già garantito dalla norma,  in modo uniforme per italiani e stranieri,  dalla residenza continuativa biennale, sicché aggiungervi un requisito di residenza quinquennale  per i soli stranieri più poveri appare davvero illogico”.

Conclude l’Asgi: “La consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale avrebbe invece potuto fornire in proposito indicazioni importanti, dalle quali il legislatore non avrebbe dovuto discostarsi: in primo luogo laddove la Corte ha escluso la possibilità di porre limiti per i soli stranieri nella fruizione di diritti sociali fondamentali (all’interno dei quali ben potrebbe ricondursi anche il contrasto alla povertà) ma in particolare laddove la Corte con la sentenza del 12 dicembre 2011 n. 32 ha dichiarato incostituzionale il requisito della carta di soggiorno  per l’accesso alla indennità di frequenza che è un contributo per la frequenza alla scuola del minore disabile, riconosciuto indipendentemente dal reddito: ebbene se è stata considerata incostituzionale quella limitazione, davvero non si vede come possa essere costituzionale l’esclusione dello straniero in condizione di grave povertà da un contributo che serve (anche) ad assistere il componente disabile della famiglia”

Da redattoresociale


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