Mafia, politica e imprese a Trapani: l’ex presidente della sezione Ance Vincenzo Morici rischia 4 anni di sorveglianza speciale. La Procura ha chiesto anche la confisca di 30 milioni di beni
Rino Giacalone
Quattro anni di sorveglianza speciale per l’ingegnere Vincenzo Morici, 54 anni, per alcuni anni presidente a Trapani della sezione Ance (il sindacato degli imprenditori edili di Confindustria) e la confisca del patrimonio valutato in oltre 30 milioni di euro. Questa la richiesta esposta dinanzi al Tribunale delle misure di prevenzione, presieduto dal giudice Franco Messina, dal pm Andrea Tarondo a conclusione del procedimento che ha visto anche coinvolto il noto imprenditore trapanese Francesco Morici, per anni a capo di una potente holding imprenditoriale, e scomparso qualche mese fa all’età di 83 anni.
Un atto di accusa pesante: gli imprenditori Morici sono stati collocati dalla Procura distrettuale antimafia di Palermo all’interno di un quadro di accordi criminali tra mafia, politica e imprese. Tanto che, quasi sul finire del procedimento che li ha riguardati, l’accusa ha prodotto tutti gli atti giudiziari che hanno riguardato l’ex sottosegretario all’Interno, il senatore di Forza Italia, Tonino D’Alì.
Appalti pilotati, turbative d’asta, tangenti raccolte dalla Divisione anticrimine della Questura di Trapani e dalla Guardia di Finanza all’interno dell’inchiesta denominata Corrupti mores. Una indagine frutto del lavoro investigativo diretto dall’odierno capo della Dia di Napoli Giuseppe Linares, all’epoca investigatore di punta della questura trapanese, dove ha diretto la Squadra Mobile prima e la Divisione anticrimine successivamente. Le indagini nel tempo condotte da Linares hanno permesso di scoperchiare la pentola degli affari tra mafia, politica e imprese.
I Morici sarebbero stati imprenditori che hanno “servito” Cosa nostra, ma che grazie alla cosca mafiosa di Trapani, da Vincenzo Virga a Francesco Pace, i due capi del mandamento mafioso trapanese, hanno potuto compiere un grande salto imprenditoriale, ottenendo facili arricchimenti. Rapporti che sarebbero stati stretti, un giro vorticoso di appalti dentro al quale un ruolo preciso ha avuto l’imprenditore valdericino Tommaso “Masino” Coppola, che non a caso dal carcere mandò con il nipote un messaggio preciso a Morici senior, del tenore che lui si stava facendo il carcere anche per conto loro.
Appalti importanti, da quello per la realizzazione della galleria di Scindo Passo a Favignana, sino a quello relativo alla realizzazione della funivia di Erice, dal risanamento e il recupero della litoranea nord di Trapani alla realizzazione delle nuove banchine al porto di Trapani, così per indicarne alcuni. Per ogni appalto la pubblica accusa ha prodotto prove costituite anche dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, come l’imprenditore Nino Birrittella, ma anche intercettazioni che proverebbero lo stretto legame tra i Morici e i soggetti dell’organizzazione mafiosa, politici e colletti bianchi.
Un procedimento che ha avuto anche il suo colpo di scena, come quando Morici jr accettando di rispondere alle domande delle parti ad un certo punto ha svelato che da una confidenza ricevuta dal padre ha scoperto che la loro impresa si era aggiudicata i lavori per la galleria di Scindo Passo di Favignana, quasi “a loro insaputa”. Tranne poi in successiva udienza ritrattare su queste e altre dichiarazioni dicendo che quelle cose dette erano frutto di una sua impressione, non sostenute da fatti veri e reali.
Le prove prodotte però dall’accusa sembrano essere schiaccianti sull’esistenza di veri e propri accordi criminali per aggiudicarsi appalti sulla carta ancora prima di essere banditi. Come per esempio i lavori al porto di Trapani, accordo questo svelato dall’imprenditore Birrittella che ricevette da Morici l’ordine per alcune cospicue forniture di ferro che servivano per la realizzazione delle nuove banchine, quando ancora nemmeno era stato pubblicato il bando di gara: in quella occasione Morici, per come ha riferito Birrittella, fece il nome del senatore D’Alì che ai Morici aveva garantito l’aggiudicazione di quelle opere.
Francesco e Vincenzo Morici secondo le indagini di Polizia e Finanza sono risultati appartenere ad un gruppo di imprenditori che “Cosa nostra” ha utilizzato, prima per volontà del famigerato capo mafia Vincenzo Virga e, dopo il suo arresto, del reggente Francesco Pace, allo scopo di esercitare, per oltre un decennio, il condizionamento nelle fasi di aggiudicazione di appalti, nella esecuzione delle opere e nelle forniture. I Morici – si legge ancora nell’originario atto di accusa che durante il procedimento per il pm Tarondo ha ottenuto precisi riscontri di veridicità – hanno operato in tale occulto comitato di gestione, utilizzando un reticolo di imprese, le più importanti costituite con sede in Roma, (come la Coling S.P.A , la Eumede – Società di Consulenza ed Ingegneria S.r.l. , la Trapani Infrastrutture Portuali Soc. Consortile a r.l. ).
Grazie al crocevia criminale di interessi, già secondo il rapporto informativo condotto da Polizia e Finanza, tra il 2001 e il 2013 gli imprenditori colpiti dal sequestro hanno fatto incetta di appalti, grandi appalti. I Morici ai giudici sono stati rappresentati come i maggiori e più famosi imprenditori edili siciliani, inseriti nell’ambito della cosiddetta “borghesia mafiosa”, “quella alla quale appartengono soggetti non per forza punciuti ma la cui aggressività imprenditoriale sembra essere mutuata proprio sul modello mafioso”. Appalti e lavori finiti nella loro rete imprenditoriale con l’assenso del latitante Matteo Messina Denaro.
Il procedimento proseguirà il 7 novembre con l’intervento degli avvocati della difesa, poi la parola passerà ai giudici che dovranno pronunciare la relativa sentenza.