L’assassinio di Daphne Caruana Galizia a Malta deve far suonare un campanello d’allarme in tutta Europa, e in Italia in particolare. Malta, infatti, è certo un paradiso fiscale crocevia di evasori, riciclatori, mafie e quant’altro, ma come lo sono il Lussemburgo, le britanniche Man, Jersey e Guernsey, o il Delaware negli USA, dove nessuno si è mai sognato di uccidere i cronisti scomodi. Malta è, per Reporters sans Frontieres, al 47esimo posto della classifica della libertà di stampa nel mondo, sempre sopra l’Italia, oggi al 52esimo. La criticità individuata nel rapporto annuale di RSF riguardava i risarcimenti esorbitanti e il rischio del carcere per i giornalisti condannati per diffamazione. E si prendeva ad esempio proprio quanto accaduto a Daphne che a febbraio scorso ha avuto il proprio conto bancario bloccato su mandato del ministero dell’economia, dopo che il mese prima aveva pubblicato sul suo blog le notizie riguardanti membri del governo coinvolti nei cosiddetti Panama Papers.
Anche Freedom House riconosce a Malta elevate performance sia in tema di media che più in generale nello stato della democrazia, su cui si è anche espressa l’Osce, che ha mandato una missione di osservatori alle ultime elezioni di giugno, su invito del premier uscente. E Transparency International posiziona La Valletta al 47esimo posto su 176 (l’Italia è 60esima) per la corruzione. Insomma, Malta non è la Russia dove dal 1990 sono oltre 350 i giornalisti uccisi o scomparsi. Non è il Messico, che vanta dieci reporter assassinati da inizio 2017. E’ a tutti gli effetti uno stato democratico parte a pieno diritto dell’Unione europea, e anche più avanti di noi nelle valutazioni degli osservatori internazionali.
Questo dovrebbe far scattare il campanello d’allarme in Italia ma anche a Bruxelles. Quanto ha rivelato la celebre blogger di Mosta non è molto diverso da quanto investigano tanti reporter di casa nostra, alcuni sotto scorta altri no. Da noi, in Sicilia, l’ultimo assassinio di un giornalista risale al 1993 (Beppe Alfano). Eppure oggi abbiamo una decina di cronisti sotto scorta e diversi altri e altre che hanno denunciato pressioni e minacce e le proposte di legge che dovrebbero tutelarli almeno dalle liti temerarie restano nel cassetto, ormai virtualmente rinviate alla prossima legislatura. E le cose non vanno meglio in altre parti dell’Unione, dove avanzano norme restrittive sulla libertà di stampa.
Ma il fronte più minaccioso sono i social e la crescente abitudine a insultare e assalire, per ora verbalmente, chi racconta fatti non graditi, insulti e assalti mossi anche da esponenti di rilievo di politica e grandi aziende, in Italia e in molti altri paesi, primo fra tutti gli Stati Uniti. La gara a cacciar via il reporter è iniziata da tempo, dove andrà a finire? Una pratica che contribuisce a inasprire l’odio per una categoria appaiata spesso alla “casta”, anche quando in realtà svela magagne e segreti della stessa “casta”, sicuramente degli stessi assalitori.
E che la Caruana Galizia collaborasse con l’ICIJ, il consorzio internazionale di giornalismo investigativo, non è servito a proteggerla, come non aiuta quanti nel mondo (anche in Italia) collaborano a quel grande network di recente vincitore del prestigioso Pulitzer proprio per i Panama Papers: dove non arrivano querele, liti temerarie e minacce, arrivano i tagli alle risorse che imbrigliano il lavoro togliendo il terreno sotto i piedi delle redazioni, che ufficialmente vengono lodate per la loro abnegazione. Basta citare il giornalismo investigativo come eccellenza se poi chi fa inchieste non è sostenuto nei fatti!
Non possiamo quindi limitarci a piangere per la morte di Daphne, né a scrivere del suo coraggio: dobbiamo proseguire il suo lavoro e investigare, anche a distanza, sul suo omicidio. E affiancare suo figlio Matthew, membro dell’ICIJ, ora più solo nell’impegno di ricercare la verità. E pretendere che le autorità di La Valletta facciano chiarezza fino in fondo su esecutori, mandanti e motivazioni, chiunque risulti coinvolto. Per questo dobbiamo ritrovarci sotto l’ambasciata di Malta a Roma il prossimo 23 ottobre, Giornata mondiale per la fine dell’impunità dei crimini contro i giornalisti, promossa dall’ONU. Questo per noi significa #scortamediatica. Non lasciamo soli i familiari e i colleghi di Daphne, è il modo più bello per ricordarla.