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“L’utopia di Pasolini” di Angela Felice

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Pier Paolo Pasolini trovò il suo codice linguistico-espressivo nel friulano di Casarsa della Delizia, piccolo centro del Friuli in provincia di Pordenone, paese materno, dove visse con la madre Susanna gli anni della seconda guerra mondiale, dalla fine 1942 fino al suo trasferimento a Roma nel 1950. Così scrisse nel 1956 sulla rivista “Officina”: “Una formazione letteraria ipoteca un’intera esistenza letteraria”. In questi luoghi Pasolini si formò umanamente e culturalmente e pubblicò, a sue spese, la sua prima raccolta di liriche “Poesie di Casarsa” nel 1942 “.

Del rapporto con la lingua friulana e l’idealità di vita agreste, connotata da sani valori etici, parla “L’utopia di Pasolini” di Angela Felice, primo volume della collana “I saggi” di Bottega Errante Edizioni, pagg. 207, euro 16. Il volume della direttrice del “Centro Studi Pier Paolo Pasolini” di Casarsa, una fra le più appassionate e competenti studiose dell’intellettuale e artista, approfondisce con spunti nuovi, legati alla musicalità del linguaggio e al rapporto con il paesaggio, il vissuto formativo di Pasolini nel contesto della campagna friulana, contrapponendola alla disperata distopia degli anni Settanta, caratterizzata dalla mercificazione capitalistica e dalla devastazione antropologica del Paese. Il saggio analizza l’amore per la lingua materna, ma anche i canoni della pedagogia pasoliniana, dando spazio all’esperienza di viaggio negli Stati Uniti e al ruolo della televisione. Vi è un legame e una coerenza di pensiero che percorrono le 200 pagine del testo, suddiviso in 11 contributi, strutturati in tre sezioni di indice sistematico, che hanno come cuore pulsante il Friuli degli anni ’40. “Il Friuli, scrive in premessa Angela Felice, indagato e amato nella sua concretezza, si sgrana e si sublima nel contempo come “visione” desiderio dell’altro, prospettiva valoriale, realtà parallela, luogo e non luogo immaginario di una ideale verità umana di cui, come in tutte le utopie, auspicare la piena realizzazione futura”. Il tema dell’utopia centrale nella pubblicazione mette all’angolo la qualifica della profezia che lo stereotipo corrente ha attribuito a Pasolini. Una tesi questa di Angela Felice che trova concordi Antonio Tricomi e Raoul Kirchmayr che firmano le due postfazioni.

Nell’unica opera teatrale scritta da Paolini dal titolo  “I turcs dal Friul” la scelta di utilizzare come codice linguistico il friulano è motivata dalla volontà di dotare la comunità contadina della coscienza della propria storia e tradizione. Il testo porta in scena l’avanzata di un nemico, i turchi , che mai appaiono. La loro è sostanza immateriale di fantasmi sonori, destinata a restare tale per tutta la durata della rappresentazione. Essi rappresentano dunque il senso di minaccia che, 20 anni dopo, verrà ripreso in poesia in “Partitura barbarica”.

Un capitolo del volume viene dedicato al rapporto gioioso e difficile con Valvasone, cittadina friulana sulla destra del Tagliamento inserita nella leggenda topografico-sentimentale di un paesaggio del cuore e dell’eros. Alle sue piazze e ai suoi  abitanti sono dedicate pagine intense e poetiche di impianto diaristico pubblicate più tardi nei racconti I Parlanti.

A Valvasone nel 1947 gli venne affidato l’incarico di docente di lettere nella scuola Media. Fu l’occasione per Pasolini di mettere a punto un paradigma efficace di un’educazione eterodossa ed estranea ai binari della didattica tradizionale.

Il volume, che poggia il suo impianto su un linguaggio divulgativo e un corposo apparato di note e referenze biografiche, ha il pregio di restituire frammenti originali, squarci dell’opera e del pensiero dell’artista e intellettuale.


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