L’Italia di Mattei fra progresso e misteri

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L’Italia del progresso, certo, ma anche l’Italia dei misteri e delle troppe verità negate: questo era il marchigiano Enrico Mattei, emigrato al Nord negli anni Trenta per lanciare la propria sfida al mondo, peraltro riuscendoci.
Se non fosse stato fermato la sera del 27 ottobre 1962, quando il suo aereo precipitò a Bascapè, in provincia di Pavia, mentre era ormai prossimo a raggiungere l’aeroporto di Linate, se non fosse intervenuto un acclarato sabotaggio a stroncarne la vita a soli cinquantasei anni, infatti, le sorti del Paese sarebbero state diverse.

Enrico Mattei il partigiano bianco, Enrico Mattei e la grande avventura dell’AGIP prima e dell’ENI poi, Enrico Mattei e la sfida del Giorno per contrastare l’ordine costituito e lanciare l’assalto alla fortezza del Corrierone, egemone in Lombardia e pressoché ovunque, Enrico Mattei il borghese visionario, Enrico Mattei e i rapporti difficili, per usare un eufemismo, con le “sette sorelle” proprietarie del petrolio mondiale: un personaggio complesso, dunque, poliedrico, di rara e sottile intelligenza, mai domo, mai disposto ad arrendersi, sempre pronto a mettersi in gioco e a rischiare in prima persona, ben cosciente delle conseguenze cui sarebbe potuto andare incontro ma non per questo disposto a gettare la spugna.
Non esitò, tanto per dirne una, a proporre ai paesi produttori dell’oro nero il regime di “fifty fifty”, di fatto rendendo non concorrenziali le grandi industrie petrolifere del pianeta che, non a caso, lo detestavano.
Non esitò, tanto per dirne un’altra, a sfidare i governi democristiani, lui che pure veniva da quella cultura, rivendicando la piena autonomia energetica, e non solo, del nostro Paese, in contrasto con una certa subalternità, culturale e politica, nei confronti degli Stati Uniti che, in piena Guerra fredda, la maggior parte dei suoi interlocutori considerava inevitabile e finanche utile.

Non esitò, infine, a tessere rapporti molto stretti con l’Unione Sovietica, mettendo in allarme gli americani e buona parte del mondo occidentale e guadagnandosi la nomea del manager anarchico, della figura inafferrabile, del soggetto impossibile da controllare e di cui era ancora più difficile prevedere le mosse.
Non sorprende, pertanto, che il suo aereo sia rimasto vittima di un attentato mentre rientrava da un viaggio in Sicilia, come non sorprende che il giornalista Mauro De Mauro, che stava collaborando con il regista Francesco Rosi, alla stesura della sceneggiatura del film “Il caso Mattei”, nel ’70, sia stato rapito da Cosa nostra e che di lui non se ne sia saputo più nulla. Chiunque abbia toccato determinati fili, del resto, in questo Paese ha sempre avuto vita dura e, in molti casi, l’ha persa, in quanto la ribellione a questo stato semi-coloniale di Nazione secondaria, buona per le vacanze, per il cibo, per il clima allettante ma non per altro, è non solo mal vista da alcuni partner internazionali ma addirittura considerata dai medesimi un atto di insurrezione contro l’ordine stabilito a Jalta e mai messo veramente in discussione.
Molti assetti geo-politici ed economici stanno cambiando, per carità, e non esito a immaginare che oggi Mattei non solo intesserebbe rapporti con Putin ma si spingerebbe verso il mercato cinese e quello indiano, cercando di sfruttare la vitalità, anche demografica, dei cosiddetti BRICS e di costruire un’alternativa seria ad un universo occidentale che già cinquantacinque anni fa, quando morì, cominciava a mostrare le prime crepe. Fatto sta che l’ordine mondiale stabilito a Jalta non è stato ancora messo apertamente in discussione quasi da nessuno, meno che mai nel nostro Paese, e, quando finalmente muterà, ciò avverrà più per la prepotente ascesa di nuovi protagonisti che per un suo effettivo ripudio da parte di chi è stato ed è tuttora costretto a subirlo.
“Il primo concreto obiettivo dell’Occidente europeo poterebbe essere proprio quello di adottare una coerente politica dell’energia e di istituire un dialogo coi paesi produttori” sosteneva Mattei, facendo venire la pelle d’oca a quanti sostenevano, al contrario, che i paesi produttori dovessero essere considerati alla stregua di vassalli, da sfruttare senza alcuna concessione per aumentare a dismisura i propri profitti.

Non che Mattei non fosse spregiudicato, intendiamoci: era l’uomo dei “partiti-taxi” e aveva una visione della politica estremamente utilitaristica e non propriamente etica; fatto sta che era comunque un uomo dotato di una certa idea del mondo e del modello di sviluppo da seguire, nella convinzione che l’interesse individuale e quello collettivo dovessero procedere di pari passo e che il benessere dell’Occidente non dovesse escludere quello del resto del mondo.
Meno vorace di altri, più colto, più lungimirante e più avveduto nel prevedere gli sviluppi globali dei decenni successivi, Mattei pagò a caro prezzo le sue principali intuizioni, subendo il discredito e il progressivo isolamento prima e la tragica fine che ben conosciamo poi.
Tuttavia, a cinquantacinque anni di distanza da quella sera d’ottobre, il suo esempio è rimasto e il suo profilo umano e manageriale ha conservato intatto il suo prestigio, ricordando a ciascuno di noi che un altro mondo è possibile e che vale la pena di battersi per provare a costruirlo.


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