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L’Estate di Nicolini: quando Roma era Roma

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Di Renato Nicolini, della sua cultura, della sua grandezza e della sua tragica e prematura scomparsa ce ne siamo già occupati in agosto, in occasione  del quinto anniversario della sua morte a soli settant’anni. Vogliamo qui ricordare, a quarant’anni dal suo avvio, i fasti dell’Estate romana, ossia l’inizio di quella “cultura dell’effimero” e della leggerezza che, nelle mani di un intellettuale e di un galantuomo del suo calibro, assunse un valore speciale, trasformando un evento apparentemente frivolo in un momento di aggregazione, di incontro e di crescita culturale per l’intera comunità capitolina nonché in un esempio per molte altre città.
E così, a pochi giorni dalla scomparsa di Hugh Hefner e in occasione del cinquantesimo anniversario dell’esplosione del fenomeno Battisti, ci troviamo a fare i conti con la meraviglia di una visione alternativa, limpida, moralmente ricchissima della conoscenza e della bellezza, caratterizzata dallo stare insieme, dal costruire un universo di valori condivisi, dal viaggiare con la fantasia e dal creare, giorno dopo giorno, un immaginario collettivo diverso e migliore.
Un innovatore anche per la sinistra, Nicolini: una sinistra fino a quel momento eccessivamente legata a vecchi schemi, ad una concezione della cultura troppo ingessata, troppo ufficiale, troppo esageratamente seriosa.
Nicolini liberò la sinistra e la rese calviniana, le fece apprezzare la levità e non a caso, in quegli anni, il PCI fornì a Roma alcune delle sue migliori amministrazioni.
Un uomo in grado di costruire ponti, dunque, di ampliare gli orizzonti, di scrutare nel profondo dei singoli problemi, di guardare avanti e di condurre nel futuro la società nel suo insieme, nessuno escluso.
Rendiamo omaggio alla più valida delle sue tante intuizioni nella settimana in cui abbiamo detto addio a Pierluigi Cappello, un poeta “pasoliniano” capace di dare un senso persino a questa stagione senz’anima, senza idee e senza punti di riferimento.
La saggezza geniale di Nicolini costituì per Roma uno dei rari momenti di serenità e di passione collettiva, in una fase storica, quella degli anni Settanta, in cui la cupezza degli scontri e della violenza la faceva da padrona. Fu, insomma, un’Epifania di speranza e di gentilezza, di irriverenza e di splendida follia, a dimostrazione di quanto le realizzazioni amministrative corrispondano spesso al carattere di chi le promuove.
Quarant’anni dall’accensione di quella macchina dei sogni: una luce di cui ci sarebbe un gran bisogno anche nella Roma contemporanea, in cui non scorre più il sangue sul selciato ma dilaga la tristezza nelle vene di quartieri ormai senza identità e senza prospettive.

P.S. Mentre scrivevo quest’articolo ho appreso la notizia della scomparsa di Roberto Anzolin, celebre portiere juventino degli anni Sessanta: un grande campione e una splendida persona. Che la terra gli sia lieve.


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