Dal 1952 al 1962 Pio La Torre, dopo quasi diciotto mesi di ingiusto carcere per aver guidato l’occupazione del feudo di S. Maria del Bosco, della famiglia Inglese, a Bisacquino nel marzo 1950, diventò segretario della Camera del Lavoro di Palermo e dal 1959 segretario regionale della Cgil in sostituzione di Emanuele Macaluso passato al PCI quale vice segretario di Girolamo Li Causi. Di ciò si è discusso nell’iniziativa della Camera del Lavoro di Palermo tenutasi giorni addietro al teatro S. Cecilia di Palermo, presente lo stesso Macaluso.
È stata l’occasione per riflettere su dieci anni di attività sociale e politica di un comunista, meridionalista autonomista, forgiato dal fuoco delle lotte sociali degli sfruttati per la loro emancipazione; un siciliano che si batté per un socialismo italiano nel quadro internazionale ancora segnato dalla guerra fredda, ma in lentissima evoluzione politica e in una fase storica contrassegnata dal rapido recupero economico del paese (il boom economico) che sancì l’affermazione del capitalismo monopolistico nel Paese (in Sicilia porterà alla rottura politica del Milazzismo) e sul piano politico alla rivolta del luglio 1960 contro il governo di centrodestra di Tambroni.
Pio La Torre inizia la sua formazione sindacale organizzando i braccianti poveri e gli sfruttati della sua borgata, prosegue nell’impegno della lotta contadina per la Riforma agraria, diventa nel 1948, per un breve periodo, segretario della Camera del Lavoro di Corleone in sostituzione di Placido Rizzotto, socialista, ucciso dalla mafia nel marzo dello stesso anno.
Uscito dal carcere, poco dopo viene eletto segretario della Camera del Lavoro di Palermo, da lì continuerà a dirigere la lotta bracciantile e quella per l’attuazione della legge di Riforma agraria approvata dall’Ars mentre era in carcere. Lo scontro con il sistema politico-mafioso, durante i Governi regionali centristi, ha come obbiettivi l’attuazione della Costituzione contro le ingiustizie sociali; il riconoscimento dei diritti sindacali, politici dei lavoratori, la tutela dei più deboli (disoccupati, senza casa, emarginati, braccianti, edili ecc…), con la ricerca continua di unità col mondo intellettuale e della scuola.
La Cgil, nella logica di quegli anni, si batte per contrastare il processo di emigrazione dalle campagne gravate dalla contraddizione della coesistenza di modernizzazione e arretratezza e dal permanere di un sistema politico-mafioso rafforzato dall’evoluzione economica di quegli anni. È illuminante la vicenda di Turi Carnevale, socialista capolega di Sciara che dopo le lotte per la riforma agraria prese a lavorare in una cava di un gruppo capitalistico del nord per realizzare il potenziamento della rete ferroviaria territoriale, è ucciso dalla stessa mafia con la quale si era scontrato nella lotta per la terra, mentre la stava fronteggiando nella cava per ottenere una giornata di lavoro di otto ore e un salario dignitoso. È Pio, segretario della Camera del Lavoro di Palermo, che ne annuncerà l’uccisione la stessa mattina durante il consiglio provinciale della Camera del Lavoro.
Pio, da sindacalista si trova a guidare dunque la lotta delle campagne e della città per affermare i diritti alla terra come alla casa, al lavoro, sia dei braccianti e dei contadini che degli operai nel Cantiere Navale dei Piaggio, contro le gabbie salariali e il controllo mafioso anti operaio usato dai moderni capitalisti, i Piaggio, allo stesso modo dei feudatari.
È la fase durante la quale si scoprono le vaste aree di degrado dei quartieri popolari e degli emarginati come quello di Cortile Cascino, dei Danisinni che furono luoghi dove anche Danilo Dolci lottò con le sue forme non violente, lo sciopero della fame, e dove maturò la proposta di una legge speciale per Palermo che fu ottenuta anni dopo.
Durante quegli anni Pio è anche consigliere comunale di Palermo dove riporta l’eco delle lotte per la casa, per gli edili, contro il Sacco di Palermo e il nuovismo fanfaniano del trio palermitano Lima, Gioia, Ciancimino. Pio contribuisce a sostenere, oltre la modernizzazione del sistema agricolo, l’industrializzazione della Sicilia autonoma dal potere monopolistico del Capitalismo per uno sviluppo indipendente della Sicilia verso cui indirizzare le politiche pubbliche. La lotta politica sfociò nella rottura della Dc e nella nascita del Governo autonomista di Milazzo, sostenuto dal PCI. Sconfitta quell’esperienza si passò ai governi di centrosinistra organico, a guida Dc, con i socialisti. Dal 1962, Pio, eletto segretario del PCI, continua la sua lotta forte dell’esperienza sindacale che gli consentirà di entrare in sintonia con gli ampi movimenti di massa per il lavoro e i diritti sindacali, che egli riportò nella sua formazione di base. Fu un uomo di movimento di lotta e di governo. Poiché per lui la lotta fu sempre finalizzata ad ottenere risultati per i lavoratori, per la democrazia, per un nuovo sviluppo equilibrato e la giustizia sociale.
Proposta di cambiamento sociale e movimento di massa dal basso erano le due costanti della formazione politica a cui appartenevano gli uomini della generazione di Pio La Torre. È da lì che nasce la loro antimafia. Per loro è conseguenza logica della lotta sociale contro il capitalismo monopolistico, la corruzione, la commistione tra politica, mafia e affari.
Oggi riferirsi all’esperienza di Pio, senza trasformarlo in un “santino”, significa organizzare i nuovi poveri, i braccianti, i precari, i neet, i laureati che fuggono, contrastare la nuova diseguaglianza e l’ingiustizia sociale, frutti delle politiche pubbliche neoliberiste. Significa contrastare con ampi movimenti dal basso l’erosione dei diritti e l’indebolimento del Welfare, ribaltare le scelte neoliberiste e riaffermare la redistribuzione equa delle ricchezze.
L’esempio di Pio vale per tutte le forze democratiche attuali, dal sindacato che Pio voleva sempre unitario alla sinistra e al centro democratico che divisi sono destinati a perdere. Riscoprire quei valori assieme alle nuove generazioni deve servire a tale nobile scopo.