Ciò che contraddistingue l’ordine dei giornalisti rispetto alla rappresentanza sindacale dei medesimi è la sua natura di ente pubblico, posto a garanzia di libertà, autonomia, dignità e qualità della professione, non a difesa della categoria in quanto tale, ma soprattutto del diritto dei cittadini ad essere correttamente informati, premessa indispensabile per la democrazia e per l’equilibrio dei poteri in uno stato di diritto. Ma da tanto tempo, ormai, il venir meno dell’autorità e del prestigio necessari per svolgere questa funzione sociale ha indotto molti, anche tra noi giornalisti, a dubitare della sua utilità se non addirittura ad auspicarne l’abolizione. Avendo io avuto un ruolo in passato sia nel consiglio nazionale dell’ordine che nel sindacato, ho verificato più volte che il ritardo nella riforma di una legge vecchia e inadeguata da parte del parlamento doveva attribuirsi in primo luogo alla difesa dello statu quo da parte di politici ed editori interessati ad avere mani libere con una categoria giuridicamente debole oltre che mal pagata.
In secondo luogo all’insufficienza dei consigli regionali e nazionale dell’ordine nel provvedere ai due compiti fondamentali indicati dalla legge: accesso alla professione e rispetto della deontologia. Ma al punto in cui ormai ci troviamo, con il precariato diffuso che costringe a condizioni di lavoro intollerabili, riesce difficile perfino immaginare il recupero di una professionalità dignitosa. E incalcolabile il danno arrecato alla consapevolezza critica dei cittadini in rapporto alla politica e alle istituzioni. Quasi ovunque la ricerca della verità cede il posto alla post-verità del populismo di ogni colore. Vince chi in treno, in piazza o in televisione è più capace di far passare la propria.
Per questo al mio caro, vecchio amico Carlo Verna, ho scritto all’indomani della sua elezione alla presidenza nazionale dell’ordine che lui e la sua squadra rappresentano oggi forse l’ultima occasione di risalire la china. Riuscendo a far approvare dal parlamento una riforma che da oltre vent’anni le organizzazioni dei giornalisti sollecitano. Ma anche, nel frattempo, a far rispettare, con maggior rigore di quanto è avvenuto in passato, l’obbligo “inderogabile” che in forza dell’articolo 2 della legge in vigore hanno già tutti i giornalisti: “il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”.