Nel corso degli anni ’70, quando aumentò a dismisura il numero dei detenuti “politici” nelle carceri italiane, furono tantissimi quelli che tentarono di evadere e alcuni di loro riuscirono nell’intento, tanto che nel 1977 lo Stato corse ai ripari costruendo quelli che verranno chiamati “gli speciali”, strutture penitenziarie dalle quali era impossibile uscire.
Proviamo a raccontarne alcune di queste evasioni riuscite, anche se nella gran parte dei casi, si risolsero in una fuga piuttosto breve.
Il primo fu il nappista Pasquale Abatangelo che era stato arrestato a Firenze il 29 ottobre dell’anno prima, e che il 9 febbraio del 1975 riuscì ad evadere dal carcere fiorentino de Le Murate insieme al “comune” Dante Saccani utilizzando il canale sotterraneo delle fognature della struttura e quindi prendendo un autobus. Fu riarrestato a Parma il 25 dello stesso mese e dopo più di 20 anni di detenzione otterrà nel 2001 la liberazione condizionale.
La seconda evasione “politica” avvenne 9 giorni dopo e fu molto più clamorosa. Il 18 febbraio 1975 un commando di brigatisti coordinato da Margherita Cagol riuscì a liberare dal carcere di Casale il fondatore Renato Curcio che era stato arrestato a Pinerolo l’8 ottobre dell’anno prima. Alle 16,15 circa, due auto, secondo le testimonianze riportate il giorno seguente su La Stampa, si fermano vicino al carcere, in via Leardi. Scendono un uomo e una donna che suona il campanello annunciando di dover consegnare un pacco. Quando l’agente di custodia apre la porta, si trova con un mitra puntato allo stomaco. Subito dopo arrivano altri tre uomini, con una scala, che tagliano i fili del telefono a tre metri di altezza. La guardia viene costretta a chiamare il maresciallo, dal quale si fanno aprire tutte le porte fino alla cella di Curcio. Per più di due mesi i brigatisti avevano studiano il piano: l’esterno e l’interno del carcere, la posizione dei fili del telefono e, soprattutto, vie e stradine per fuggire dopo l’azione e raggiungere, evitando i vari posti di blocco, la Liguria. Alcuni giorni prima avevano rubato una decina di macchine, poiché nella strada in cui avevano deciso di fuggire c’era un passaggio a livello che sarebbe stato chiuso al momento dell’evasione. Era quindi necessario attraversare i binari a piedi e salire su altre macchine. L’azione avvenne nel pomeriggio di martedì, giorno di visita all’interno del carcere; ventiquattr’ore prima avevano avvertito Curcio del loro arrivo con un telegramma «Sta arrivando il pacco.». Renato Curcio verrà riarrestato il 18 gennaio 1976 a Milano in un appartamento di Via Maderno e otterrà la semi-libertà l’8 aprile del 1993.
Il terzo ad evadere fu un altro nappista, Marrino Zichittella, che faceva parte di quel gruppo di dieci detenuti organizzati dal bandito sardo Graziano Mesina che il 20 agosto del 1976 riuscirono ad evadere dal carcere di Lecce. Mesina si avvicinò con uno stratagemma a un agente di custodia che, con l’aiuto dei complici, mise fuori combattimento. Guadagnò l’uscita puntando la pistola alla gola di un sottufficiale e, prima di dileguarsi, svaligiò la cassaforte portandosi via un milione, interrompendo i segnali d’allarme. Dopo poche ore, quattro di loro vennero catturati mentre Martino Zichittella troverà la morte il 14 dicembre dello stesso anno a Roma durante il fallito attentato dei NAP all’alto funzionario dell’anti-terrorismo Alfonso Noce.
Il quarto fu il brigatista Prospero Gallinari che il 2 gennaio del 1977 riuscì ad evadere insieme ad altri 12 detenuti “comuni”, tra cui Domenico Napoli, Vincenzo Andraous, Pierluigi Montecchio e Francesco Ceccato, dal carcere di Treviso. E’ una domenica mattina nel carcere di Santa Bona quando un detenuto simula un malore e insieme ad altri nove compagni di sezione prende in ostaggio una decina di guardie. Un centinaio di metri più in là altri tre, estratti i coltelli, costringono le guardie a farsi aprire il cancello e raggiungono prima l’infermeria e quindi il dormitorio e da lì arrivano al cortile del muro di cinta raggiungendo gli altri. I tredici fuggiaschi impugnano armi e fucili dalla rastrelliera, rinchiudono le ultime guardie in una cella, guadagnano l’uscita dal carcere e si disperdono chi in motorino e chi a piedi. Gallinari sale insieme ad altri su una NSU Prinz ferma al semaforo e dopo una serie rocambolesca di cambi di mezzi di trasporto raggiunge Padova. Verrà riarrestato a Roma il 24 settembre del 1979 dopo essere stato gravemente ferito alla testa al punto da essere inizialmente dato per morto. Nel 2006 ha ottenuto la detenzione domiciliare per motivi di salute subendo un trapianto di cuore ed è morto a Reggio Emilia il 14 gennaio del 2013.
Tre giorni dopo quella di Treviso si compie un’altra evasione dal carcere di Fossombrone da parte di sei detenuti, due dei quali sono il brigatista Massimo Maraschi e Antonio Marocco, futuro fondatore delle Formazioni Comuniste Combattenti. Poco dopo le 7 di sera, prima della chiusura delle celle, il detenuto Ermes Zanetti si avvicina alla porta tra la rotonda e l’atrio esterno con in mano una domandina e chiede di telefonare. L’agente ausiliario guarda dallo spioncino, controlla, pensa che sia tutto in regola ed apre per farlo accedere al telefono ma all’ultimo scatto il cancello gli sbatte sul viso, spinto da sei detenuti rimasti incollati al muro per non essere visti dal piccolo spioncino. Lo sequestrano e gli tolgono le chiavi richiudendosi il cancello alle spalle. Zanetti (alla sua terza evasione), Paolo Olfredi, Antonio Paoloni, Claudio Vicinelli, Maraschi, e Marocco escono con l’agente sequestrato e si dirigono verso la Mensa e dopo avere immobilizzato altri agenti seduti ai tavoli per la cena serale, prendono altri coltelli e vanno verso la portineria facendosi scudo con un appuntato che li precede con la pistola puntata alla schiena. Marocco, Olfredi, Zanetti e Paoloni proseguono con l’ostaggio, si fanno aprire dal piantone e dopo una breve colluttazione riescono a uscire all’esterno dove li attende una Fiat 127 con un nastro isolante sul lunotto posteriore, messo dai complici per farla identificare dai fuggitivi. Vicinelli e Maraschi che si erano attardati verranno invece ripresi e Maraschi verrà trasferito al reparto di Neurochirurgia di Ancona per le gravi ferite riportate. Marocco verrà riarrestato il 1° febbraio 1979 insieme a Daniele Bonato in una trattoria di Bagnolo Cremasco ed entrambi, come vedremo, saranno futuri protagonisti di un’altra evasione di gruppo di 3 anni dopo.
Passano meno di 15 giorni dall’evasione di Fossombrone e due nappiste riescono ad evadere dal carcere femminile di Pozzuoli. La notte del 22 gennaio 1977 all’esterno della struttura, mentre Franca Salerno sta chiedendo alle guardie un analgesico, due nappisti di un commando di tre militanti scavalcano il muro di cinta di Via Pergolesi con una corda. Dopo essersi arrampicati in cima al muraglione di dieci metri del secondo cortile con una scala, giunti all’esterno della cella, i due segano le sbarre e la liberano insieme a Maria Pia Vianale lasciando la corda all’esterno del carcere. Entrambe verranno riarrestate a Roma il 1 luglio, Franca Salerno, che il 17 dicembre aveva partorito in carcere il figlio Antonio, è morta il 3 febbraio del 2011, mentre Maria Pia Vianale è uscita di prigione il 9 ottobre del 1996.
Il 1977 è l’anno delle evasioni perché il 2 giugno fuggono nove detenuti dal carcere di Forlì e tra loro anche il brigatista Antonio Savino che l’anno dopo verrà arrestato a Milano il 1 ottobre del 1978.
Il 12 marzo 1979 evadono da Le Nuove di Torino Daniele Lattanzio, Emanuele Attimonelli e Giorgio Zoccola ma gli ultimi due vengono quasi subito ripresi. I quotidiani scrivono: «Clamorosa evasione alle 10,45 di questa mattina. Almeno cinque sono i prigionieri fuggiti, quattro sono stati immediatamente ripresi e condotti in carcere. Uno, invece, benché ferito, pare si sia allontanato fra le case della zona fra corso Inghilterra e via Cavalli. Polizia e carabinieri hanno bloccato tutta l’area». Daniele Lattanzio verrà arrestato un mese dopo in Val di Susa con gli sci in spalle, dopo una giornata passata sulle piste di Sauze d’ Oulx.
L’anno dopo, 28 aprile 1980, Corrado Alunni, arrestato il 13 settembre di due anni prima nella base di
Via Negroli 30, organizza, insieme a Renato Vallanzasca, una clamorosa fuga di 11 detenuti dal carcere milanese di San Vittore. Alle 13.15 gli undici all’ora d’aria muniti di tre pistole prendono in ostaggio un brigadiere per farsi strada fino all’uscita del penitenziario sparando ai due agenti di guardia. Si scatena una sparatoria per le vie del centro di Milano nella quale Alunni viene colpito allo stomaco da due colpi di mitra e Vallanzasca viene ferito alla testa. Paolo Klun e Vittorio Bandelli vengono subito ripresi, Emanuele Attimonelli sarà arrestato la sera stessa, Antonio Colia, dopo essersi asserragliato in un vecchio stabile di fronte al carcere e aver preso in ostaggio una donna, si consegnerà alla fine di quaranta minuti di assedio all’allora commissario Achille Sera. Merlo, Rosi, Lattanzio, Daniele Bonato e Antonio Marocco riescono invece a scappare. Dopo avere fondato i Reparti Comunisti d’attacco e in seguito avere militato nelle Brigate rosse partito guerriglia. Marocco verrà riarrestato a Torino alla fine del 1982 e immediatamente “pentitosi” verrà condannato a 12 anni.
Meno di un mese dopo, il 20 maggio 1980, un altro militante delle Formazioni Comuniste combattenti Paolo Ceriani Segrebondi, arrestato a Patrica il 18 novembre di due anni prima, riesce ad evadere dal carcere di Parma con un lenzuolo calato dalla finestra della sua cella. Fuggito in Francia, non è più stato estradato e tuttora vive a Parigi.
Il 18 ottobre dello stesso anno il militante di Prima Linea Diego Forastieri evade insieme ai “comuni” Giusepe Muià e Pietro Leandri segando le sbarre della cella e scavalcando il muro di cinta. Forastieri sarà futuro protagonista di un’altra clamorosa evasione di due anni dopo, mentre Leandri verrà ucciso il 3 ottobre del 1992 durante un tentativo fallito di evasione dal carcere svizzero di La Stampa.
Di nuovo a Parma, meno di un anno dopo l’evasione di Segrebondi, il 6 febbraio del 1981, uno dei fondatori della banda genovese 22 ottobre Cesare Maino, che era stato arrestato nel 1971 dopo una fuga in Belgio, riesce ad evadere dall’Ospedale Maggiore dove era ricoverato. Maino verrà ricatturato il 13 giugno su un pullman di linea Ivrea-Biella insieme a Marina Premoli, e dissociatosi nel 1984, è morto il 22 maggio del 1993. Marina Premoli la ritroveremo protagonista di un’altra clamorosa evasione dell’anno dopo.
Il 4 ottobre del 1981 un commando dei COLP formato da fuoriusciti di Prima Linea libera dal carcere di Frosinone il militante dei PAC Cesare Battisti che era stato arrestato a Milano il 26 giugno del 1979. Su Battisti, fuggito prima in Messico, quindi in Francia e infine in Brasile, e condannato all’ergastolo in contumacia, pende da anni un’insistente richiesta di estradizione da parte dell’autorità giudiziaria italiana già respinta dal Presidente Lula il 31 dicembre del 2010.
Il 3 gennaio del 1982 un commando misto dei Nuclei Comunisti e dei COLP coordinato da Sergio Segio fa saltare in aria una parte del muro perimetrale di cinta del carcere femminile di Rovigo e libera Susanna Ronconi, Federica Meroni, Loredana Biancamano e Marina Premoli. Nell’esplosione muore il passante Angelo Furlan. Le quattro evase verranno in seguito tutte riarrestate come tutti i membri del commando che le aveva liberate tra cui lo stesso Segio, il 15 gennaio dell’anno dopo, eccezion fatta che Lucio Di Giacomo che verrà ucciso 18 giorni dopo in un conflitto a fuoco a Monteroni di Siena. Massimo Carfora invece sarà il protagonista della prossima evasione.
Nel 1983 sei detenuti de Le Novate di Piacenza si calano da una botola nel cortile sotto le mura di cinta che gli agenti troveranno coperta da alcuni giornali, per percorrere, muniti di torce, un lungo cunicolo delle fogne che circondano il vecchio carcere. Due vengono ripresi nel pomeriggio a 22 km di distanza nei pressi della stazione di Fiorenzuola d’Adda mentre altri quattro riescono a scappare. Sono Roberto Bergamini di Parma, un “comune” condannato per rapina, il milanese Mauro Bruno arrestato nel marzo del 1976 con una valigia piena d’armi e con un passato da squadrista nero in Piazza San Babila, il brigatista della Walter Alasia Dario Faccio (24 anni) e Massimo Carfora (28 anni). Questi ultimi due fuggiranno a Parigi dove Faccio, figlio della parlamentare radicale Adele, verrà riarrestato 6 anni dopo, mentre Carfora, che invece non è mai stato estradato, vive tuttora e fa l’imprenditore.
Il 23 settembre del 1986 i brigatisti Calogero Diana e Giuseppe Di Cecco, un ex membro della colonna torinese arrestato il 20 dicembre di 9 anni prima, evadono dall’ ospedale di Novara dove erano ricoverati per uno sciopero della fame. Di notte, salendo su un tavolo e una sedia, avevano raggiunto il lucernario al quale erano già state segate le sbarre, poi se n’erano andati per i tetti. I carabinieri erano riusciti a ritrovare le tracce, ma le avevano perse a Milano, alla stazione Centrale. Diana verrà riarrestato alla fine dell’anno dalle parti di via Paolo Sarpi, mentre Di Cecco sarà protagonista l’anno dopo dell’ultima evasione.
Il 16 dicembre del 1987 infatti Giuseppe Di Cecco evade da Fossombrone insieme al bandito del Brenta Felice Maniero. I due sono fuggiti infilandosi in un tombino della rete fognaria che parte da un cortile del carcere e che Di Cecco conosceva molto bene, in quanto nel carcere faceva lo spazzino. Gli agenti di custodia si erano subito resi conto dell’ accaduto, ma per qualche tempo non vi è stata grande agitazione in quanto si sapeva che l’uscita della fognatura, sul greto del fiume Musone, era sbarrata da muretti in cemento armato e da una robusta grata metallica. Invece dei complici all’esterno, presumibilmente impiegando un paio di giorni, avevano demolito le parti in muratura e rimosso la grata, per cui Di Cecco e Maniero si poterono rapidamente allontanare. Entrambi in seguito verranno ripresi.
Concludiamo ricordando un fallimento dello stesso 1987 dal carcere di Rebibbia di quattro brigatisti, in quei giorni a Roma per la celebrazione di uno dei tanti processi di quegli anni. Francesco Piccioni, Bruno Seghetti, Prospero Gallinari e l’ex nappista Domenico Delli Veneri tutti i giorni, di notte, per un mese, scavarono con tubi e attrezzi di fortuna un tunnel largo una cinquantina di centimetri, profondo cinque metri e lungo 10 che, partendo da un seminterrato sotto le celle del braccio G-7, quello di massima sicurezza, conduceva verso il muro di cinta. Vennero scoperti a tre metri dalla libertà. Le cronache dell’epoca raccontano che, per ingannare i secondini, avevano costruito manichini che, di notte, sdraiavano sotto le coperte. Proprio come in “Fuga da Alcatraz”. Evasione da film che due anni dopo diventò un fumetto firmato da uno dei protagonisti, Piccioni, insieme al brigatista Francesco Lo Bianco: 52 tavole in bianco e nero, una cronaca autobiografica per immagini. Il titolo, provocatorio, era “Alla prossima volta”.