L’argentina populista non vota più Peron

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L’eccezionalità politica argentina, marcata dalla diffusa persistenza del peronismo a settant’anni dalla nascita e a oltre 40 dalla morte del suo fondatore e leader assoluto, svolta adesso verso nuovi populismi. Domenica 22 ottobre, nelle elezioni parlamentari di metà mandato presidenziale, dunque a 2 anni dall’ingresso alla Casa Rosada dell’imprenditore miliardario di origine italiana Mauricio Macri, l’alleanza da lui promossa con il partito radicale –Cambiemos– è risultata la più votata: una vittoria che cambia il quadro, non solo la cornice.

Esasperate dalle rivalità personali, le storiche divisioni tra radicali e moderati hanno infatti mostrato un giustizialismo complessivamente invecchiato in una politica prevalentemente redistributiva, che la fine degli alti prezzi internazionali delle materie prime e dunque della straordinariamente felice stagione dell’export argentino ha fatto slittare sul pendio del deficit strutturale. La globalizzazione continua così a erodere le specificità dei sistemi politici nazionali, inducendoli tendenzialmente a modelli con alto grado di omogeneità.

L’esito della coalizione di governo nelle urne è andato ben oltre le previsioni. Premia il Presidente e il suo partito Propuesta Republicana (PRO), creato solo una dozzina d’anni addietro, in misura ben maggiore di quella degli alleati radicali, l’antica Union Civica Radical (UCR), nata nel 1891. Sembra perciò ristrutturare l’offerta politica, analogamente a quanto è avvenuto in gran parte dei paesi europei. In particolare suggerisce paralleli con la Spagna dei governi Aznar e Rajoy, con le loro politiche di austerità che privilegiano l’equilibrio di bilancio sull’espansione economica.

Cristina Fernandez Kirchner, che ha presieduto il paese dal 2007 al 2015 e a sorpresa si è gettata in questa sfida elettorale catalizzando su di sé il ruolo della grande oppositrice, è riuscita a essere eletta al Senato. Ma con meno voti del suo immediato competitore macrista e una ridotta pattuglia di parlamentari. Cioè con un’immagine appannata e un peso politico al di sotto delle attese. La sua persona riscuote ancora un sostegno rilevante; ma non solo tra i suoi avversari, c’è l’idea che molti elettori, pur scettici di fronte alle promesse del governo (“Toglieremo tutti gli argentini dalla povertà…”, ha ripetuto Macri dopo la vittoria), non la vedono più come una valida alternativa.

Al punto da preferirle -foss’anche come male minore- un governo che appena oggi può vantare l’arresto della recessione. Senza tuttavia liberare il paese dell’inflazione più alta del continente dopo il Venezuela, con la conseguenza di un dirompente squilibrio prezzi-salari, del pesante aumento del debito pubblico, della caduta dell’occupazione e dell’export, dell’assenza di un adeguato piano di rilancio industriale, di una fiscalità iniqua, di un’economia bisognosa d’investimenti stabili che non arrivano.

Scontata la scelta degli interessi agricoli, condannati sommariamente dai Kirchner e ai quali Macri ha invece tagliato subito le tasse, determinante è stato il comportamento elettorale della classe media urbana: dall’impiego pubblico alle libere professioni, alla piccola e media impresa. Un certo incremento delle opere pubbliche con relativo impiego di mano d’opera e la riduzione non indiscriminata dei sussidi alle famiglie più bisognose hanno contenuto il voto di protesta. Se davvero la questione fosse: più stato e regole o più mercato e avventura, la risposta dell’elettorato dice che la sua diffidenza verso il secondo non è maggiore di quella nutrita nei confronti del primo.

Non c’è bisogno di arrivare all’essere e il nulla per comprendere certi fenomeni politico-culturali. Né il nichilismo è sentimento nuovo per il mondo. Probabilmente una volta installata l’idea che la ricchezza è bella ma non ce n’è per tutti, molti sono portati a credere di meritarla in assoluto più degli altri e che chi più ne ha maggiormente la merita. L’imprenditore audace e talvolta spregiudicato diventa figura che ispira il nuovo e il possibile: Berlusconi, Macri, Trump, Andrej Babis, il peggio che controverso milionario appena eletto in Slovacchia, possono rappresentare l’illusione di salvezza individuale dalla crisi epocale in cui annaspa l’Occidente.


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