La Scala inaugura con “Andrea Chénier”

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Proseguendo nella recente usanza di dedicare l’apertura della stagione ad un’opera presentata per la prima volta in Scala, così fu per Giovanna d’Arco di Verdi nel 2015 e per Madama Butterfly di Puccini nel 2016, anche quest’anno la scelta del titolo inaugurale è caduta su un’opera, Andrea Chénier di Umberto Giordano, che vide il suo debutto a Milano il 26 marzo del 1986, riportando, si legge nelle cronache d’epoca, un trionfale successo.
Non si sa se fu merito dell’allora direttore Rodolfo Ferrari, oppure del tenore protagonista, Giuseppe Borgatti, che sostituì all’ultimo il previsto Alfonso Garulli, ma sta di fatto che anche se in seguito il compositore foggiano si sarebbe espresso con altre opere di discreto successo, tra cui Fedora, il suo nome rimarrà legato per sempre ad Andrea Chénier, ancora oggi uno dei melodrammi più rappresentati nei teatri di tutto il mondo.
Il libretto, scritto da quel Luigi Illica, destinato in futuro a diventare con Giuseppe Giacosa il prediletto di Puccini, è ispirato alla vita dell’omonimo poeta all’epoca della rivoluzione francese, anche se di base si tratta dell’ennesimo dramma amoroso che finisce male.

Lo stile musicale di Giordano può essere associato a quello degli autori della cosiddetta giovane scuola italiana e del verismo, come Cilea, Mascagni e Leoncavallo, ma l’opera risente di un certo qual nazional-popolarismo essendo principalmente costruita su una serie di romanze di grande effetto, in grado di scatenare facili entusiasmi nel pubblico.
Ma Andrea Chénier è soprattutto un’opera per tenore che più “per tenore” non si può, visto che Giordano ha riservato al protagonista ben quattro arie di enorme impatto e due duetti molto orecchiabili con il soprano al termine del secondo e del quarto atto.
E così la successiva fortuna dell’opera la fecero i più grandi calibri tenorili del novecento, e basta scorrere i nomi dei più importanti interpreti del passato per trovare quelli di Beniamino Gigli, Richard Tucker, Mario Del Monaco, Franco Corelli, fino a tutti e tre i tenori di Caracalla e al più recente e fascinoso Jonas Kaufman.

Tenore che tuttavia, non basta abbia voce robusta o anche solo accattivante, ma che deve anche avere il giusto accento eroico e soprattutto possedere quello che in gergo tenorile viene definito lo “squillo”, nel senso che già uno come Pavarotti, dalla voce argentea più adatta al canto lirico, non rese al meglio delle proprie possibilità.
Il caso di Gigli, che nonostante il timbro carezzevole e vellutato, fu invece forse uno dei migliori Chénier, fa come sempre storia a se perché Gigli era Gigli come la Callas era la Callas, e punto.
Quindi per mettere in scena un Andrea Chénier di successo il discorso sarebbe sulla carta molto semplice: basta ingaggiare un tenore capace di trascinare il pubblico e fai centro, mentre se il protagonista si rivela mediocre l’opera in se, diciamocelo francamente, non è che possa più che tanto reggere da sola.

Personalmente, nel febbraio del 1983, assistetti proprio in Scala ad uno straordinario successo di un giovane Josè Carreras, diretto da un altrettanto giovane Chailly, che fece letteralmente impazzire gli spettatori presenti dopo un “Improvviso” cantato veramente ‘anema e core, per usare un termine poco ortodosso (come forse lo era anche il canto dello spagnolo, dotato però di un timbro di voce benedetto).
Il fatto che si tratti di opera da tenore costituisce tuttavia anche la sua “croce e delizia”, perché la sempre maggiore carenza di voci tenorili drammatiche ha fatto si che negli ultimi anni l’interesse si sia spostato sul personaggio di Maddalena, e la stessa scelta del prossimo cast scaligero ce ne fornisce ampia conferma.
Forse che ancora una volta sia merito della solita Maria Callas, la cui registrazione de La mamma morta fu sapientemente utilizzata dal regista Jonathan Demme per quella straziante scena di Tom Hanks e Denzel Washington in Philadelphia ? E pensare che per la Callas l’opera di Giordano fu solo una fuggevole parentesi, ai tempi in cui la Maddalena per eccellenza era invece Renata Tebaldi, con la sua inarrivabile voce rotonda e sontuosa. Ma si sa che mentre tutte le altre incantano, la Callas strega, e parlando di Filadelfia mi sovviene piuttosto che deve essere una città che porta bene allo Chénier, visto che esiste la registrazione pirata di quella serata storica dell’aprile del 1966 in cui una straordinaria coppia amorosa formata da Franco Corelli e da una Montserrat Caballé agli inizi della carriera cantò come meglio non si può cantare.
Cosa che la “superba” catalana non fece anni dopo, né nella registrazione Decca con Chailly, né nei troppo vasti spazi dell’Arena di Verona con il fido Carreras, e lo so perché c’ero.

Ci sarebbe anche un terzo protagonista, Gerard, figura ispirata al rivoluzionario Jean- Lambert Tallien, cui è riservata la celebre romanza del terzo atto, Nemico della patria, che tutti i baritoni dotati di voce ampia e sonora portano alle audizioni o ai vari concorsi per fare colpo.
Tornando a quella sera scaligera di tanti anni fa, ricordo un Piero Cappuccilli in stato di grazia che avanzava al proscenio tenendo la nota acuta di “in un sol bacio” oltre le battute, e che al termine riceveva un’interminabile, quanto meritata, ovazione.
Per l’atteso 7 dicembre, oltre che sulla comprovata direzione di Chailly, la Scala punta sulla diva Anna Netrebko, che già seppe regalare enormi soddisfazioni nella difficile Giovanna verdiana di due anni fa.
Ma siccome neppure la diva Anna potrà trasformare in opera per soprano quella che resta rigorosamente un’opera per tenore, tutto dipenderà da come saprà comportarsi quella sera il previsto Yusif Eyvazov, fino ad oggi principalmente noto alla cronache per essere da qualche anno il marito della signora.
Se prima di sant’Ambrogio dovesse pungervi vaghezza di ascoltare l’opera comodamente seduti sul divano di casa vostra, posso suggerire due edizioni in CD dei gloriosi anni ’50: la Decca diretta da Gavazzeni con Del Monaco, Tebaldi, Batianini (e il lusso di una Cossotto che canta la particina di Bersi), o la Emi diretta da Santini, con Corelli, Stella e Sereni.
Ma poi non fatevi le orecchie su quelle voci pensando di ritrovarvele in Scala, perché quelle voci lì, come le mezze stagioni, oggi non esistono più.


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