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Il quarto livello delle mafie

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Dopo il  fallito attentato dell’Addaura del 21 giugno 1989, Giovanni Falcone affermò testualmente: “Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa Nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l’ impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi”. Anche se in tanti dicono che Falcone non avesse mai riconosciuto un terzo livello in “Cosa Nostra”, indirettamente, (ma io ritengo con scienza e coscienza) questo suo commento ammette l’esistenza non solo di un terzo livello ma addirittura ne paventa l’esistenza di un quarto.  Non dimentichiamoci mai che gli anni ottanta fino alla morte di Falcone e Borsellino, segnano le sconfitte più consistenti subite da Cosa Nostra nella sua storia criminale e la gran parte provocate proprio dal maxiprocesso. Fu una svolta epocale e mondiale. Sino alla sentenza del maxiprocesso la conoscenza del fenomeno mafioso era assai vaga e confusa. Dopo quella sentenza, abbiamo cominciato a comprendere meglio il fenomeno e i suoi contatti con i “poteri forti” nazionali ed internazionali.

Esisterebbe una rete, ove si anniderebbero questi cd. “poteri forti”, una sorta di “super comitato”, costituito da uomini politici, massoni, banchieri, alti burocrati dello Stato, industriali, che influenzerebbe (direttamente o indirettamente) anche le sorti delle mafie italiane. Questi poteri forti nazionali costituirebbero il cd. “terzo livello”, mentre quelli sovranazionali darebbero vita al cd. “quarto livello”.  Cos’è questo “quarto livello” e chi sono le persone che lo compongono? Senza dubbio sono organizzazioni e multinazionali abbastanza grandi da contare e pesare nello scenario politico ed economico internazionale. I componenti di questi “poteri forti” coincidono tout court con una rete di interessi interdipendenti di tipo finanziario, politico, economico e industriale.

Le mafie e l’economia sono sempre stati connessi per il semplice fatto che l’attività predatoria delle organizzazioni criminali si rivolge verso la ricchezza. Al giorno d’oggi, le mafie sono divenute “imprenditrici” entrando a pieno titolo nell’economia globale. L’immensa quantità di denaro di cui dispongono, una massa in continua crescita derivante da traffici sempre più lucrosi e organizzati, fa si che debbano giocoforza aggirare, infrangere, piegare ai propri interessi le leggi degli Stati. Per far ciò hanno assoluto bisogno di questi poteri forti. Per rendersene conto basta osservare l’operato delle multinazionali, dei colossi della finanza, degli operatori dell’economia globale. I principi che li guidano sono gli stessi di quelli mafiosi e la compatibilità e l’adattamento fra i due sistemi è sostanzialmente completo. Se rileggiamo gli scritti di Giovanni Falcone non ci può non venire a mente come, la mediazione di questi poteri forti sia essenziale per le mafie e può esser vista da queste ultime come il modo più sicuro, rapido ed efficiente di garantire rapporti finalizzati alla realizzazione del massimo utile possibile.

Questo “quarto livello”, dunque, è molto più pericoloso del terzo e indubbiamente segna il passaggio delle mafie da dimensioni puramente localistiche e nazionali ad un livello di incidenza a livello globale. Ho sempre pensato che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino siano morti perché forse, anche inconsapevolmente, stavano toccando i fili del livello internazionale e mediante analisi finanziarie complesse erano arrivati ad individuare “poteri forti” sovranazionali. Furono uccisi perché quel livello sovranazionale una volta scoperto avrebbe rivelato scenari impensabili. Probabilmente avrebbe rivelato connessioni tra mafie e poteri militari, oligarchico-finanziari e politici collegati tra loro per scopi non di certo leciti. Ormai dobbiamo essere coscienti che esista una mafia senza confini che spesso è influenzata da nuovi poteri forti a livello sovranazionale. Dobbiamo, pertanto, domandarci se siamo attrezzati a contrastare questa nuova dimensione delle mafie.  Io credo di no!

Vincenzo Musacchio – Direttore scientifico della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise


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