Dal nostro corrispondente a Berlino
Ad appena poche settimane dalla netta sconfitta nelle elezioni federali e mentre i sondaggi davano per vincente il candidato cristiano-democratico, la SPD ottiene un inatteso successo nelle elezioni del Niedersachsen, Bassa Sassonia. Un risultato locale oppure l’atteso effetto della fine della Große Koalition?
Mentre l’Austria, un paese di otto milioni e mezzo di abitanti, rinnovava il proprio Parlamento, premiando il giovane leader di centro-destra Sebastian Kurz e consegnando all’estrema destra il posto di secondo partito, il Niedersachsen – un importante Land della Germania nord-occidentale, anch’esso con otto milioni di abitanti – ha votato per le elezioni anticipate. I risultati in queste due aree germanofone non potevano essere più distanti. In Niedersachsen il presidente uscente, Stephan Weil, e la SPD ottengono il 36,9%, la CDU 33,6%, i Grüne 8,7%, i liberali della FDP 7,5%, l’AfD 6,2%, mentre la Linke, pur crescendo nei consensi, non riesce a raggiungere la soglia di sbarramento fermandosi al 4,6%. I socialdemocratici, dati per sconfitti nei sondaggi, guadagnano il 4,3% di voti rispetto alle precedenti consultazioni del 2013, mentre – confrontando i risultati di ieri con quelli delle elezioni federali nella medesima regione – ottengono quasi un 10% in più.
Successo dimezzato per la SPD
I vertici della socialdemocrazia, tanto ad Hannover quanto a Berlino, hanno di che gioire. La drammatica serie di sconfitte, iniziata con la segreteria di Martin Schulz e culminata il 24 settembre scorso, pare essere finita con un deciso cambio di tendenza. Dopo aver visto il proprio governo crollare in agosto per la fronda di una deputata dei Grüne passata alla CDU, Stephan Weil riesce a portare il proprio partito al vertice nel panorama politico del Niedersachsen – un posto che finora era stato occupato dai cristiano-democratici. Inoltre, Weil non è affatto un leader carismatico, capace – come Kretschmann in Baden-Wüttemberg – di attirare su di sé molti più voti di quanti potrebbe altrimenti raccogliere il proprio partito, ma rappresenta un membro della socialdemocrazia perfettamente in linea con la segreteria federale. La sua vittoria si offre pertanto anche a un’interpretazione più ampia e, come ha affermato ieri sera Martin Schulz, si tratta di un risultato che premia il passaggio dell’SPD all’opposizione.
Il rischio è, tuttavia, che nonostante il successo la SPD venga costretta all’opposizione anche in Niedersachsen. I suoi partner di coalizione – i Grüne – non hanno infatti replicato il successo della precedente tornata, perdendo oltre il 5% dei consensi, e l’auspicata coalizione rosso-verde non ha i numeri per formare il governo del Land. Considerato come neppure la Linke, nonostante abbia guadagnato l’1,5% rispetto al 2013, rimanga fuori dalla scena politica locale, esistono solamente tre prospettive per il futuro del Niedersachsen: la prima sarebbe un’alleanza tra SPD, Grüne e FDP, la quale però è stata categoricamente esclusa dai liberali in campagna elettorale; la seconda potrebbe vedere quella medesima “coalizione Giamaica” che probabilmente governerà a Berlino, ovvero un accordo tra CDU, Grüne e FDP, con l’SPD all’opposizione; infine, una terza prospettiva si darebbe con una Große Koalition a guida socialdemocratica, resa comunque difficile dalla dura campagna elettorale che ha avuto luogo tra CDU e SPD. Invero nessuna di queste opzioni è fuori dal tavolo delle trattative, ed è probabile che il responso delle urne possa rapidamente modificare alcuni atteggiamenti e prese di posizione pre-elettorali dei partiti.
Una debacle per l’intera destra tedesca
Il grande sconfitto è, questa volta, la CDU. Il candidato Bernd Althusmann non è riuscito a concretizzare quella che pareva una vittoria scontata, trascinando anzi i cristiano-democratici verso il loro peggior risultato in Niedersachsen dal 1959. Dietro le colpe personali, tuttavia, aleggiano le tensioni interne al partito di Angela Merkel, dove la destra – vicina alla CSU bavarese – non perde occasione per accusare la cancelliera di aver adottato una linea troppo “socialdemocratica”, portando adesso come esempio anche l’istruttivo risultato delle elezioni austriache. Tuttavia, tale ala cristiano-democratica continua a ignorare come il maggior conservatorismo in seno al partito – testimoniato dall’accordo tra CDU e CSU su un’eventuale soglia massima al numero di profughi da accogliere nel paese ogni anno – finisca per minare la vera forza politica di Merkel, ovvero la capacità di “occupare il centro”, drenando consensi all’unico vero avversario dei cristiano-democratici: la SPD.
Il risultato in Niedersachsen non racconta molto di diverso e, osservando i flussi elettorali, si può vedere come il successo socialdemocratico sia dipeso tanto da un calo di fiducia nei Grüne – per i quali a pesato certamente il cambio di casacca della loro deputata che ha portato alla caduta del governo locale in agosto – quanto da un consistente numero di elettori provenienti dalla CDU. Ciò si manifesta anche nella geografia elettorale, dove i cristiano-democratici hanno tenuto solo in alcune aree agricole, mente nei centri urbani – come Hannover, Oldenburg, Braunschweig, Gottinga e Wolfsburg (il grande complesso industriale dove ha sede la Volkswagen) – e sulle coste del Mare del Nord hanno trionfato i socialdemocratici.
Più in generale, non si può però neppure affermare che il mancato successo cristiano-democratico abbia offerto vantaggi alle altre forze di destra. I liberali della FDP hanno infatti perso il 2,4% degli elettori rispetto al 2013, mentre l’AfD, se riesce a entrare nel parlamento locale con nove deputati, perde circa il 3% rispetto ai voti che aveva ottenuto in Niedersachsen alle elezioni per il rinnovo del Bundestag del 24 settembre scorso. Il recente successo federale, anziché lenire le contraddizioni interne all’AfD, le ha esacerbate ulteriormente – come appunto ha dimostrato la rottura tra Frauke Petry e il partito. Le due anime, quella liberista nei Länderoccidentali e quella di estrema destra nelle regioni orientali, faticano a restare assieme, mentre il disagio di una parte potenziale dell’elettorato dell’AfD è stato eloquentemente testimoniato dal venire meno di un terzo dei consensi in appena tre settimane.
Nicola Bassoni