Una, due, tre…. Ormai arrivano e vengono replicate le sentenze della Corte Europea relative agli abusi, alle violenze, alla “tortura” subiti nel carcere speciale e provvisorio nella caserma del reparto mobile di Genova Bolzaneto durante il G8 del 2001. L’ultimo pronunciamento dell’altro ieri ribadisce le responsabilità del governo italiano, sottolinea come i responsabili identificati siano stati (nonostante il lavoro non facile della procura spesso ostacolato dalle stesse forze di polizia) in numero inferiore a quelli in campo e come non abbiano subito sanzioni adeguate a livello “disciplinare”, venendo quasi tutti promossi o inseriti in altri incarichi.
Va bene che il nuovo capo della polizia (intervista realizzata da Carlo Bonini de la Repubblica) abbia definito come una “catastrofe” i fatti del 2001. Ma ci sono voluti 16 anni per quelle parole, personalmente non so quanto totalmente condivise dalla maggioranza degli operatori delle forze dell’ordine. Pesa anche su questo mondo l’essere spesso troppo sconosciuto o superficialmente raccontato e poco giornalisticamente approfondito da noi operatori dei media.
E comunque queste interviste (non discuto la buona fede o l’onestà intellettuale del capo della polizia Gabrielli) a mio giudizio e come già detto in altre occasioni, “scaricano e rimuovono” non tanto e non solo gli errori di un tempo, ma soprattutto quella che è stata una politica “criminale” del settore. Questo avviene quando i principali protagonisti di quella politica e direzione non sono più né ai vertici né surfeggiano sulle onde della popolarità tra governi diverso colore.
Insomma quella di Genova fu violenza e fu tortura, parola non abusata da chi la subì e da chi la raccontò a livello mediatico, inizialmente in pochi. Fu il collega Marco Preve, di Repubblica-Genova ed ex vice segretario della “Ligure” -Fnsi, il primo a parlare di Bolzaneto raccontando come molti “arrestati”, passati dalla Diaz, poi a Bolzaneto quindi nel carcere “vero” di Vercelli avessero vissuto la cella di Vercelli come una “liberazione”. E a mettere nero su bianco (con una nota rimessa alla procura della repubblica), su come molti arrestati alla Diaz e a Bolzaneto, in sede di convalida degli arresti avessero denunciato gli abusi subiti, furono i Gip di quelle udienze.
Bolzaneto, la sede del reparto mobile della polizia di stato, fu teatro di tortura e di abusi. Lo confermano le condanne. Ma senza (in origine) la parola tortura perché nel codice italiano non esisteva e non esiste, di fatto, nemmeno oggi con la legge “ipocrita” recentemente approvata, come l’ha definita Roberto Settembre, uno dei magistrati (oggi in pensione) del collegio giudicante della Corte di Appello di Genova ed estensore delle motivazioni della sentenza su Bolzaneto.
Ecco perché quanto dice il ministro Finocchiaro all’indomani della nuova sentenza europea (oggi l’Italia ha una legge sulla tortura) è una sorta di “inesattezza o bugia politica”, perché la legge italiana come osservato da molti magistrati e legali rende difficile perseguire il possibile reato di tortura. Una di quelle leggi che hanno un bel nome e principio, possono rappresentare (forse) un primo passo, ma finiscono poi per rendere difficile se non impossibile il lavoro di chi dovrebbe applicarle. In questo è illuminante anche la sentenza con cui la giustizia europea ha sanzionato l’Italia, parallelamente al caso G8 del 2001: gli abusi su due detenuti pestati nel carcere di Asti, caso finito nelle aule di giudizio con Antigone parte civile. Fu una sentenza un “po’ così”, nella logica della mancanza di un principio certo sul reato di tortura.
Cosa fare oggi? Continuare a rendere conto e dare notizia delle sentenze è importante, con i risarcimenti che al di là del loro valore economico, hanno un preciso e pesante significato morale e politico. Ma non basta. Perché a distanza di 16 anni dal G8 e da altre vicende precedenti o seguenti, la nostra attenzione, come media, è scemata. Non è facile tenerla alta, nessuno si illude perché redazioni, direzioni e lavoro esterno alle redazioni sono, esprimono e vivono quello che è lo “specchio” della società del nostro paese.
Informare, denunciare e ricordare è fondamentale. Genova Bolzaneto è stato il primo e unico caso di un carcere provvisorio della storia repubblicana, sottratto di fatto al controllo giudiziario e nella non adeguata attenzione del Dap (vedere il caso del magistrato Sabella, assolto nelle indagini: il racconto-commento del collega Matteo Indice su Il Secolo XIX di oggi, 27 ottobre: http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2017/10/27/ASsfptJK-prodotto_impunita_indelebili.shtml
E anche
http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2017/10/27/ASHqKtJK-picchiata_testimonianza_bolzaneto.shtml).
Deciso con una nota diffusa alla procura genovese nei giorni precedenti al G8: il motivo? La “previsione” di non meno di 600 arresti nei tre giorni del vertice. Venne scelto Bolzaneto. Gli arresti furono meno di 600 nonostante i quasi cento della Diaz. E alla resa dei conti, la strategia usata a Genova e sperimentata qualche mese prima a Napoli finì con il favorire gli stessi professionisti della violenza di piazza: di quei decantati “black bloc” non uno finì a giudizio. Non per colpa della procura nei cui uffici su quel fronte arrivò ben poca roba: i cento della Diaz o quelli di Bolzaneto erano black bloc né responsabili di violenze. Tra di loro anche alcuni giornalisti italiani come Lorenzo Guadagnucci, fotogiornalisti e alcuni altri colleghi free lance stranieri. Non eravamo ieri, non siamo oggi dei visionari o predicatori del pregiudizio: le sentenze arrivate negli anni e quelle più recenti in sede europea lo confermano.
(ex segretario Associazione Ligure Giornalisti-Fnsi all’epoca del G8 2001)