Si intitola “Fuga per la vita” (ed. Simple) il nuovo e-book di Emilio Drudi, giornalista e collaboratore del centro studi Tempi Moderni, di Habeshia nonché del Comitato Nuovi Desaparecidos. Una riflessione quanto mai attuale, chiara nell’esposizione, economica e soprattutto puntuale nella ricostruzione dei percorsi dei migranti in fuga da dittature, conflitti ambientali, etnici, guerre, disastri ambientali, dittature. L’e-book non tradisce mai le aspettative e soprattutto, unico nel suo genere, fornisce le cifre precise di una tragedia umana che caratterizza questa fase storica. Il volume è scritto in collaborazione con il Comitato Nuovi Desaparecidos e presentazione del suo presidente Arturo Salerni. Proprio per questa ragione non è solo un libro giornalistico. È invece un testo che contronarra, con rigore e competenza, il dramma dei profughi di oggi, i loro percorsi, le loro storie e aspettative insieme alle contraddizioni del nostro sistema di accoglienza.
Non è un libro “buonista” e già in tutti gli interventi di Drudi non si nascondono mai le contraddizioni anche interne ai flussi di migranti stessi, con alcuni di loro capaci di lucrare sui bisogni primari, sul bisogno di una casa, di un letto e di un lavoro. Sin dall’inizio si ricorda che secondo i dati dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), pubblicati a metà giugno 2017 si è arrivati, in tutto il mondo, a 65,6 milioni di profughi. È una novità epocale. Per il fenomeno migratorio, innanzi tutto, perché i profughi a vario titolo sono ormai la maggioranza rispetto ai flussi di persone mosse da pur legittime, condivisibili, motivazioni economiche e di lavoro che abbiamo conosciuto fino a poco tempo fa e a cui, in ogni caso, chiunque ha diritto. Ma, al di là di questo aspetto, è un fatto epocale in senso assoluto. L’unico precedente di un esodo da “fuga per la vita” di queste dimensioni risale agli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale. Ma allora, con la fine del conflitto, il problema si avviava a soluzione. Oggi, invece, la tendenza è a crescere rapidamente e tutto lascia credere che si sia soltanto all’inizio del fenomeno. La conferma viene dal fatto che, di anno in anno, si registra un aumento del numero dei profughi, come principale “effetto collaterale” di una serie sempre più consistente di guerre o comunque di “punti di crisi”. Noi pensiamo che costruire un percorso di verità e di giustizia per quei poveri corpi che giacciono sui fondali del Mediterraneo o nelle aree desertiche dell’Africa e per quelle madri, quei padri, quei fratelli, quei bimbi, che piangono i loro figli, i loro fratelli, i loro genitori, possa contribuire a fermare la strage; che una pagina di giustizia possa essere parte del libro di una nuova politica fondata sul rispetto dei diritti fondamentali di ogni uomo e di ogni donna, ed in primo luogo sul rispetto del diritto alla vita e ad una esistenza libera e dignitosa. Il testo è acqusitabile on ilne sui principali siti di vendita di libri o su Tempi Moderni (http://www.tempi-moderni.net/2017/09/21/on-line-il-nuovo-e-book-di-emilio-drudi-fuga-per-la-vita/).
Si pubblica di seguito l’introduzione di Drudi perché meglio di qualunque altra esprime la tensione morale che ispira il volume e definisce la direzione della scrittura e della riflessione che la ispira. Una riflessione politica nell’accezione più alta e nobile del termine che segna un obiettivo preciso che è quello di restare umani e soprattutto aperti verso un futuro che dovrà essere democratico e civile e non certo barbaro e chiuso su se stesso.
“In Eritrea? Lì le nostre madri ci partoriscono per essere poi servi del regime, in Eritrea. Siamo scappati per potere avere dei figli e questi figli essere nostri e non da usurare nelle mani del regime…”. Sono le parole di una rifugiata giovanissima, ascoltata da un operatore sociale nel campo profughi di Gorizia. In questo breve flash c’è tutto: l’urlo di dolore e la storia personale di quella ragazzina; lo stato-prigione eritreo che ti sequestra nell’esercito per un tempo indefinito, ti ruba i figli e ogni speranza di futuro; la sofferenza di un intero popolo in catene da anni. E ancora, più in generale, c’è la tragedia dei profughi di tutto il mondo: dei milioni di donne e uomini costretti a una “fuga per la vita” da situazioni di crisi estreme.
Ecco il punto: come denuncia Giuseppe Cederna in Home, un efficacissimo monologo che dà voce ai migranti, dalla propria casa non si scappa: “Lasci la casa solo quando la casa non ti lascia più stare”. “Non ti lascia più stare”, ti scaccia con le guerre, le persecuzioni, le dittature, il terrorismo, la fame e la carestia, la mancanza anche della più pallida prospettiva. Troppo spesso, però, il Nord del mondo, l’Europa a cui questi disperati rivolgono il loro grido d’aiuto, sembra non saperlo. Anzi, sembra non volerlo sapere: si gira dall’altra parte, si chiude, respinge. Fa diventare una notizia di routine, da dimenticare subito, anche la morte, la strage di migliaia di persone. Qualche lacrima, qualche parola di circostanza e via, fino al naufragio o alla mattanza nel deserto successivi. E, per giustificare le chiusure e l’indifferenza, si inventano paure assurde. Non a caso una delle parole più ricorrenti è “invasione”, come se alle porte ci fosse un esercito ostile in armi e non un’umanità bisognosa di tutto.
Già, “invasione”. Una delle prove chiamate a sostegno di questo termine foriero di paure è stato il milione circa di richiedenti asilo arrivati in Europa nel 2015. Un milione: è stato ripetuto chissà quante volte, ossessivamente. E detto così, in assoluto, è una cifra che in effetti colpisce. Ma se si riflette un po’, un milione e 50 mila, questa è il numero esatto, equivale ad appena lo 0,2 per cento della popolazione europea: della popolazione, cioè, del continente più ricco e avanzato del mondo. Niente a fronte dell’1,2 milioni di profughi che ospita il piccolo Libano, con appena 5 milioni di abitanti. Serve, allora, una “battaglia di verità”, condotta costantemente, giorno per giorno, perché la gente possa sapere. Sono in tanti a combatterla, ma la strada è lunga e difficile.
Prova a percorrerla anche questo lavoro. Un lavoro nato nel tempo: si basa essenzialmente su esperienze, osservazioni e dati messi insieme per una serie di servizi giornalistici o collaborando con il Comitato Nuovi Desaparecidos e l’agenzia Habeshia di don Mussie Zerai, il sacerdote eritreo “angelo dei profughi”, candidato nel 2015 al Nobel per la pace. Non ha alcuna pretesa scientifica. Vuole essere, piuttosto, una sorta di cronaca ragionata, costruita giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. E, insieme, un promemoria.
L’obiettivo è quello di fornire informazioni per aiutare a rendersi conto di quanto sta accadendo e perché: chi sono i protagonisti e le vittime, da dove vengono, che cosa chiedono. Dati, storie, situazioni, personaggi, problemi, analisi, proposte, per cercare di contrastare quell’indifferenza che induce, appunto, a voltarsi dall’altra parte anziché a guardare negli occhi quella ragazzina eritrea di Gorizia e mille, milioni di altri come lei. Ecco, la fatica sarà stata ben spesa se quanto è contenuto in questo libro riuscirà almeno un po’ a diradare l’attuale, fitta nube di indifferenza. Nella convinzione che, in situazioni come questa che stiamo vivendo, densa di morte e di sofferenze inumane, anche soltanto restare indifferenti è una colpa grave. O, peggio ancora, un crimine contro l’umanità.