L’associazione della stampa romana, su impulso del segretario Lazzaro Pappagallo, ha promosso un interessante seminario sulla cosiddetta digital tax, vale a dire –come ha sottolineato Raffaele Lorusso nelle conclusioni, il segretario nazionale della federazione della stampa- una tassa di perequazione. Sì, un momento di giustizia. E’ davvero grave che le “normali” aziende siano sottoposte a cospicue tassazioni, mentre gli Over The Top come Google, Facebook o Amazon godono del privilegio di essere dei ricchissimi “non luoghi” grazie all’intrico di residenze reali, fiscali, organizzative: con imposte dirette da prefisso telefonico e spesso senza il fardello dell’Iva. Il tema ha fatto qualche breccia in Europa, ma i tempi delle decisioni sono inversamente proporzionali alla velocità digitale.
Il convegno ha voluto riaprire la questione, perché la Legge di bilancio potrebbe essere la sede giusta per introdurre una tassa così attesa. Il presidente della commissione bilancio della Camera dei deputati Francesco Boccia si è mostrato più che disponibile a lavorarci, partendo dalla definizione di “stabile organizzazione” propedeutica alla fissazione di imposte analoghe a quelle vigenti per le imprese italiane. Con maggior cautela il viceministro del ministero dell’economia Luigi Casero ha preso atto della necessità e dell’urgenza di rivedere una prassi assurda, subita con colpevole debolezza dai governi. Anzi. Gli oligarchi della rete sono stati persino invitati al recente G7 di Ischia sulla sicurezza con il rango –di fatto- di Stati sovrani, e a loro è stato chiesto di elaborare una contro-narrazione per contrastare i terrorismi. Curioso, no? ´Mentre si studia la forma di una tassazione adeguata, le “innocenti evasioni” stanno tranquillamente nella stanza dei bottoni. Non solo. La crisi dei partiti di massa nonché delle istituzioni rappresentative rende il ceto politico ansioso di consenso e gli aggregatori dei dati sono ben disponibili ad offrirsi. In cambio del ruolo di esclusivi detentori della circolarità delle informazioni: bene supremo, declinazione mobile e dinamica del rapporto proprietario classico. Giustamente, il giornalista e docente universitario Michele Mezza ha sottolineato l’atto cruciale della negoziazione sulla trasparenza e la conoscibilità degli algoritmi, prima che sia troppo tardi. Del resto, va aggiunto, la televisione generalista a trazione berlusconiana ha già compromesso la fisiologia della cultura di massa. Ora il rischio è omologo, e tuttavia da moltiplicare alla n potenza, entrando la “datacrazia” nell’identità delle persone. Il nodo delle tasse è un frammento chiave di un vero approccio di sistema. Ciò tocca da vicino equilbri e strategie del mondo editoriale, alle prese con la transizione dalla carta all’on-line e con le domande nuove che l’invasione nelle news da parte dei trust dell’iCloud pone alla carta stampata in decrescita assai poco serena. Ne ha parlato il direttore della Fieg Fabrizio Carotti.
Numerosi gli interventi nel seminario, dalla parlamentare 5Stelle Mirella Liuzzi a Dino Oggiano (Slc Cgil), ad Alberto Civica (segretario del Lazio della Uil), a Paolo Perucchini (Presidente dell’associazione lombarda dei giornalisti), a Marco Delmastro (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), a Marco Liconti (comitato di redazione del’AdnKronos): coordinati da Paolo Barbieri e Cristiano Fantauzzi dell’Assostampa romana.
Aggiorniamoci a Legge di stabilità varata, per capire se la digital tax è una cosa seria o un patetico annuncio elettorale.