E’ raro uscire di teatro con una sensazione di arricchimento cui si accompagna la nostalgia per uno spettacolo straordinario che purtroppo è già finito.
E’ questa la sensazione che si prova dopo aver visto Copenhagen, in scena dal 24 ottobre al 12 novembre al Teatro Argentina di Roma. Una sorta di thriller scientifico-politico a tre voci, scritto dall’inglese Michael Frayn nel 1998 e portato in scena per la prima volta in Italia alle soglie del nuovo millennio; un classico del teatro contemporaneo riproposto da quello stesso trio d’eccellenza che lo aveva rappresentato per la prima volta nel 1999: Umberto Orsini, Massimo Popolizio e Giuliana Lojodice per la regia di Mauro Avogadro. Una produzione della Compagnia Umberto Orsini e del Teatro di Roma-Teatro Nazionale in coproduzione con il CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia.
Il contesto in cui ci troviamo è quello degli anni a cavallo tra le due guerre, in cui il dibattito scientifico porta ad un progressivo abbandono della teoria classica dello studio della materia in favore di quella moderna. Un susseguirsi di intuizioni che condussero, tra l’altro, alla creazione della bomba atomica.
Il testo ruota tutto attorno ad un quesito che ancor oggi non ha trovato una risposta definitiva, e cioè: cosa avvenne nel 1941 in una Copenaghen occupata dai nazisti quando il fisico tedesco Werner Karl Heisenberg fece visita al suo maestro danese (di madre ebrea) Niels Bohr e sua moglie Margrethe, con le sue diverse ricostruzioni. Un incontro tra due premi Nobel della fisica teorica, imperniato sul fervido dibattito scientifico dell’epoca.
I tre interpreti, di grande spessore, in un luogo che ricorda un’aula di fisica, immersi in un’atmosfera quasi irreale, parlano di cose successe in un lontano passato quando tutti e tre erano ancora vivi. La piéce ricostruisce i diversi piani di lettura e le infinite e molteplici sfaccettature psicologiche dei personaggi, per interrogarsi sulla responsabilità morale e politica della scienza. Entrambi coinvolti nella ricerca scientifica, ma su fronti opposti, probabilmente vicini ad un traguardo che avrebbe portato alla bomba atomica, i due scienziati ebbero una conversazione nel giardino della casa di Bohr. Cosa voleva esattamente Heisenberg, a capo del programma militare tedesco con quell’incontro?
Attraverso un dialogo che incorpora diversi piani temporali – dal 1924, anno del primo incontro tra le due grandi e rivoluzionarie menti, e il 1941, anno dell’incontro a Copenhagen – si dipana uno spettacolo di due ore in cui aleggia incombente il dibattito scientifico dell’epoca, quest’ultimo reso di facile fruibilità agli spettatori (grazie alla maestria registica e di scrittura), che mostra come non sia possibile privilegiare una sola “verità”, espressione del punto di vista di chi l’ha enunciata. Tutto è umano, niente è assoluto. Uno spettacolo a scena fissa capace di coinvolgere e stravolgere nel profondo soltanto grazie all’incredibile (e tanto naturale) interpretazione di tre attori fuori dal comune.
Tra drammaturgia e scienza, un appuntamento irrinunciabile per chi ama il teatro, ma anche per coloro che non coltivano questa passione.
Dopo la permanenza nella Capitale, Copenaghen proseguirà la sua tournée in tutta Italia fino al maggio 2018.
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