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Aspiranti pubblicisti, la Cassazione: «I pagamenti in contanti non dimostrano la regolarità della retribuzione»

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La Corte conferma una delibera del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia che respingeva la richiesta di iscrizione di una collaboratrice. Per il collegio è «necessario il riscontro della regolarità dei compensi» ed è indispensabile «la tracciabilità dei pagamenti». A ricorrere contro l’Odg regionale era stato il Cnog.

«Una decisione storica, un passo avanti fondamentale contro i ricatti, lo sfruttamento selvaggio dei collaboratori e le iscrizioni irregolari al nostro albo». Così l’Ordine dei giornalisti della Sicilia definisce la sentenza della Corte di Cassazione, che ha stabilito il principio secondo cui i versamenti in contanti dei compensi agli aspiranti giornalisti pubblicisti non dimostrano «la “regolarità” della retribuzione» ed è «quindi plausibile la simulazione, in tutto o in parte, del pagamento».
Con la sentenza 24345/17, la seconda sezione civile del Supremo Collegio ha confermato una delibera del Consiglio dell’Ordine siciliano, respingendo la richiesta di iscrizione all’albo di un’impiegata di banca, collaboratrice di un periodico: a fare ricorso contro le decisioni del Tribunale e della Corte d’appello di Palermo, che avevano confermato la delibera dell’Ordine regionale, era stato il Consiglio nazionale dell’Ordine, le cui censure sono state ritenute adesso del tutto infondate e che è stato condannato alle spese e a versare il doppio del contributo di ricorso.

Il collegio presieduto da Vincenzo Mazzacane, relatore Raffaele Sabato, ha ritenuto «condivisibili i criteri ordinistici», che ritengono «necessario il riscontro della regolarità dei compensi ai sensi di legge». Indispensabile anche «la tracciabilità dei pagamenti», perché gli editori hanno «interesse a non avere esborsi» e i collaboratori «ad ottenere l’iscrizione pur senza effettivi pagamenti»: per questo motivo, a dimostrare di essere stati retribuiti in contanti devono essere gli aspiranti pubblicisti, non è l’Ordine né il giudice a dover provare che i compensi non siano stati corrisposti.

«Esce rafforzata da questa sentenza della Cassazione – scrive in una nota l’Ordine della Sicilia – la validità delle nostre battaglie contro le iscrizioni “fabbricate a tavolino”, che ci hanno procurato acerrimi nemici e che sono fatte nell’interesse dei tantissimi che rispettano le regole e hanno diritto di non avere in tasca la stessa tessera di chi ha cercato scorciatoie. Spiace dover constatare però che per affermare un principio elementare, posto a salvaguardia della nostra categoria, siamo dovuti arrivare in Cassazione, misurandoci in una sorta di guerra giudiziaria con l’Ordine nazionale, che dovrebbe avere interessi comuni e non divergenti dagli Ordini regionali. Ci auguriamo che con il nuovo Consiglio nazionale le cose cambino e si possa andare tutti nella stessa direzione, così come ci auguriamo che il nuovo Consiglio dell’Ordine di Sicilia, che si insedia oggi, con l’ingresso di cinque nuovi componenti, segua la linea tracciata dal precedente Consiglio e che ha adesso ha trovato un pieno avallo da parte della Suprema Corte di Cassazione».

PER APPROFONDIRE
Di seguito la sentenza della Corte di Cassazione.


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