Andrea Bocelli: quando la voce è poesia

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Capitano talvolta serate speciali, serate in cui la RAI si ricorda di essere il servizio pubblico e decide di regalare agli spettatori una lettura di brani di “Furore” di Steinbeck ad opera di Baricco (Raitre) e uno splendido sceneggiato dedicato ad Andrea Bocelli (Raiuno), interpretato come meglio non si sarebbe potuto da Tony Sebastian.
Capitano, dunque, serate in cui ci si sente orgogliosi di pagare il canone ed appartenere ad un Paese che, al netto dei suoi non pochi limiti, può consentirsi il lusso di esportare nel mondo la magnifica voce dell’artista di Lajatico, nato ipovedente, divenuto completamente cieco in seguito ad una pallonata in viso ricevuta a dodici anni e costretto a superare una quantità di ostacoli e di pregiudizi per noi difficile anche solo da immaginare.
Andrea Bocelli, che il prossimo 22 settembre compirà sessant’anni, è la dimostrazione vivente di dove possano condurre il talento e la forza di volontà, lui che era considerato inadatto alla carriera che poi ha intrapreso con straordinario successo, discriminato per un handicap oggettivamente limitante e in grado, invece, di abbattere ogni barriera, di sbaragliare ogni considerazione malevola e di entrare nel cuore di milioni di persone in ogni angolo del globo, tanta è la potenza espressiva, la dolcezza e la meraviglia che è capace di esprimere.

Con “La musica del silenzio”, Rai Fiction è riuscita a produrre un gioiello universale, capace di emozionare ogni platea, di affascinare la miriade di appassionati che seguono il tenore in ogni circostanza e di restituirci un’immagine autentica del suo genio e della sua grandezza, senza scadere né nella retorica compassionevole né in quegli intenti agiografici che di sicuro il diretto interessato non avrebbe apprezzato.
Un Bocelli umano, autentico, sincero, con i suoi pregi e i suoi difetti, la sua forza d’animo e le sue debolezze, i suoi sogni d’amore e le sue difficoltà, la fama raggiunta e difesa con discrezione, la passione per il canto e l’unanime ammirazione riscossa ad ogni esibizione; un Bocelli vero, insomma, non stereotipato, scevro del messaggio ipocrita che chiunque possa arrivare a certi livelli e intenzionato, al contrario, a dimostrare che per conseguire determinati risultati, nelle sue condizioni, occorre un’abnegazione pressoché totale e senza concedersi un solo giorno di riposo: questo è l’affresco che ci e stato regalato e siamo certi che i primi a commuoversi siano stati proprio i suoi cari.

Una splendida RAI, quella degli sceneggiati e delle grandi biografie: un vero servizio pubblico, pedagogico senza essere noioso, capace di coniugare il valore del prodotto con le esigenze del mercato internazionale, profonda e in grado di rivolgersi a tutti i ceti sociali, tornando così ad esercitare quella funzione inclusiva di cui troppo spesso tende, purtroppo, a dimenticarsi.
Una voce che è già poesia, quella di Bocelli, ancor prima di intonare capolavori come “Miserere” e “Con te partirò”; una favola in potenza che diventa poi favola in atto; un portento che ci è stato restituito nella sua unicità grazie ad un’interpretazione impeccabile, in uno di quei rari momenti in cui abbiamo potuto toccare con mano quanto sia ricco di splendore e di risorse umane il nostro Paese, abituato spesso a buttarsi via e a fornire masochisticamente la versione peggiore di sé.


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