Autunno 1917: un secolo fa. La battaglia di Caporetto, per l’Italia una tragedia che costò non solo la perdita di un’infinità di vite umane ma anche la sostituzione del tremendo generale Cadorna con il più morbido Diaz, e la Rivoluzione d’ottobre, un evento straordinario che pose fine al regime degli zar e proiettò la Russia verso una fase completamente nuova che avrebbe avuto in Lenin l’ideologo e in Stalin il protagonista.
Cento anni da allora; cento anni in cui si è concluso quello che lo storico marxista Eric Hobsbawm ha definito il “Secolo breve” e che hanno condotto al crollo del Muro di Berlino e all’esaurimento anche della stagione sovietica; cento anni in cui la Russia è stata dapprima l’attrice principale nella lotta contro il nazismo, poi il contraltare allo strapotere americano e infine, con l’ascesa al potere di Putin, un nuovo baricentro per la delicata regione mediorientale nonché il tramite dei rapporti con la Cina e con i rampanti mercati d’Oriente.
Una Russia che oggi è nuovamente al centro dello scacchiere mondiale dopo la disastrosa fase legata alla presidenza di Boris El’Cin; una Russia florida e ben inserita in tutti gli scenari che contano; una Russia che, pertanto, sarebbe opportuno integrare nel contesto europeo, eliminando sanzioni economiche che, oltre a non avere alcuna ragion d’essere, rischiano di indebolire un attore essenziale per limitare i rischi causati dallo scontro fra Trump e Kim Jong-un e di condurre ad un punto di non ritorno i rapporti con una potenza dalla quale chiunque possieda qualche rudimento di geo-politica, a cominciare ovviamente da Kissinger, sa di non poter prescindere.
Un secolo fa, mentre dall’altra parte dell’Atlantico iniziava a farsi strada la visione wilsioniana dell’America che impronta di sé il resto del mondo, una dottrina successivamente ripresa da Roosevelt e affermatasi definitivamente dopo la Seconda guerra mondiale, sul fronte orientale nasceva la potenza comunista che non solo avrebbe costituito un punto di riferimento per buona parte della sinistra europea ma che avrebbe anche esercitato, come detto, una funzione essenziale nel contrasto al nazismo, fino alla liberazione del campo di sterminio di Auschwitz e alla dettagliata documentazione degli orrori che vi si erano consumati.
Un sistema, quello sovietico, tutt’altro che esente da colpe, per carità, ma al quale va riconosciuto il merito storico di aver restituito un brandello di dignità ad un popolo arretrato e condannato dal regime degli zar a vivere in condizioni miserevoli, in cui l’oppressione della classe lavoratrice giungeva sino al punto di prevedere la servitù della gleba.
Diciamo che la Rivoluzione d’ottobre, partita in realtà in febbraio dopo che nel 1905 si erano avute le prime avvisaglie dei sommovimenti in atto, rese nuovamente persone coloro che, fino a quel momento, erano stati considerati alla stregua di merci: non basta per glorificarla ma non è affatto poco.
La nostra piccola ma significativa storia si colloca, dunque, nel contesto assai più ampio di un rivolgimento mondiale: un cambiamento di equilibri e di scenari dall’impatto senza precedenti, una mutazione del quadro internazionale dopo quattro secoli di sostanziale immobilismo, “i dieci giorni che – come asserì il giornalista americano John Reed – sconvolsero il mondo”. Dieci giorni che, a cento anni di distanza, siamo in grado di valutare con il dovuto distacco critico, riflettendo su ciò che hanno comportato per l’umanità e su ciò che potrebbe accadere nei prossimi cento anni, mentre il mondo è squassato da un’altra rivoluzione, meno incruenta ma non per questo meno radicale.
P.S. Quest’articolo, ovviamente, è dedicato a Rosario Villari: uno storico la cui encomiabile passione civile ha costituito un punto di riferimento per tutti noi, al pari della sua sconfinata cultura e della profondità delle sue analisi.