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Violenze impunite

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Un’inchiesta dell’Ap sui caschi blu colpevoli di stupro nella Repubblica del Congo

L’Osservatore Romano

Nella Repubblica del Congo, paese dilaniato dalle guerre intestine, una ragazzina di 14 anni, orfana, era stata portata dalla nonna al sicuro insieme ai fratellini, in una base protetta dai caschi blu dell’Onu. Il giorno stesso un peacekeeper pakistano l’ha stuprata, davanti agli altri bambini. Un’altra, sempre nel paese africano, è stata stuprata due volte, a 11 e a 14 anni, e ha partorito due bimbi. Nessuno la aiuta. Sono due esempi presi fra i 700 casi di stupro compiuti da caschi blu denunciati nella Repubblica del Congo negli ultimi dodici anni, ma che non hanno mai portato a processare e punire i violentatori. Queste notizie emergono da una inchiesta dell’agenzia Associated Press durata un anno e ora resa pubblica.

Sono anni tuttavia che si moltiplicano le denunce contro le violenze commesse dai caschi blu in paesi dilaniati dalla guerra dove dovrebbero portare pace e sicurezza: nel complesso le denunce di stupro o sfruttamento nel mondo sono arrivate a 2000, ma si può con sicurezza pensare che siano molte di più quelle non denunciate, data la natura del crimine e per il fatto che le famiglie dipendono dalle truppe stesse per ottenere cibo e cure. Per molte ragazzine infatti l’abuso porta come conseguenza figli meticci, prova concreta del fatto avvenuto, e la successiva emarginazione dalla comunità.

È uno scandalo che dilaga da oltre dieci anni, ma che l’Onu non riesce seriamente ad arginare: «Sono determinato a sradicare lo sfruttamento e l’abuso sessuale nelle missioni di pace Onu» ha detto infatti il segretario generale António Guterres solo pochi giorni fa. I casi denunciati spariscono nelle spire del lungo iter burocratico, oppure i colpevoli sono consegnati ai loro paesi d’origine dove non vengono perseguiti, anche perché non in tutti i paesi lo stupro è considerato reato. E questo nonostante l’indignazione espressa da Zéid Raad Al Hussein, alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, che ha elaborato un rapporto sui metodi utili a stroncare questi abusi nell’ambito delle missioni di peacekeeping.

Peter Gallo, un ex investigatore dell’Ufficio di controllo interno dell’Onu, denuncia un paradosso: le vittime di un incidente stradale che coinvolge dipendenti Onu hanno maggiore facilità di essere risarcite delle vittime di uno stupro. E tutto ciò nel corso di operazioni di aiuto e di pacificazione che costano cifre da capogiro alla comunità mondiale. Gallo dà la colpa della crisi persistente a un’agenzia burocratica e inefficiente: «Il sistema delle Nazioni Unite sostanzialmente sta proteggendo chi commette questi crimini. Ciò che accade è che le Nazioni Unite stanno sfruttando e sono complici dello sfruttamento di quelle stesse persone per la cui protezione l’organizzazione è stata creata».

Questa terribile situazione dimostra come là dove non ci sono più legge e rispetto dell’essere umano non sia possibile sperare in nulla e neppure in chi dovrebbe proteggere. Ed è una prova ulteriore di come in tutto il mondo venga sottovalutata la violenza alle donne.

Da perlapace

 

 


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