Le aspettative che il nuovo “codice antimafia” avrebbe dovuto soddisfare negli addetti ai lavori sono per alcuni aspetti abbastanza deludenti. Dopo studi, ricerche e prassi giudiziaria, manca, a mio avviso, quella auspicata razionalizzazione di una materia non solo complessa, ma anche dispersiva, come quella della normativa di contrasto alla criminalità organizzata. Ho sempre ritenuto che le norme antimafia più efficaci dovessero essere contenute nel codice penale e nel codice di procedura penale.
E’ noto, infatti che nel codice penale sono state inserite, dalla legge La Torre in poi, una serie di norme, prima tra tutte l’art. 416 bis, che hanno definito in maniera tassativa e determinata il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso, ma hanno anche contemplato altre condotte mafiose di rilevanza penale (416 ter), prevedendo anche aggravanti relative ai rapporti mafia-politica. Nel codice di rito, poi, grazie alle intuizioni di Giovanni Falcone, sono state inserite altre norme inerenti la materia della criminalità organizzata: intercettazioni, misure cautelari, indagini preliminari, per cui, non sembra eccessivo oggi affermare che nella specifica materia dei delitti e dei riti inerenti la criminalità organizzata esiste una specie di “ius specialis”.
La prima grande lacuna non colmata ed evidentissima è la non risoluzione dei molteplici problemi che, in questi lunghi anni di elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria, hanno coinvolto gli addetti ai lavori. Mi riferisco, in primis, ai rapporti tra gli associati alle organizzazioni mafiose ed i soggetti ad essa estranei. Il punto focale ancora una volta non risolto è il concorso esterno nel delitto associativo di stampo mafioso, sia in relazione ai rapporti con il mondo della politica e istituzionale, sia in relazione all’imprenditoria e alla finanza. E’ in questo specifico contesto che si concentra gran parte della lotta alle mafie sempre in continua evoluzione. Ritengo che proprio nel “codice antimafia” si sarebbe potuto affrontare e risolvere il problema in maniera definitiva.
Onestamente mi sarei aspettato dal legislatore una risposta forte nel settore dei rapporti mafia-politica, mediante definizione di quell’art. 416 ter, la cui formulazione attuale (immutata nel codice antimafia), appare di difficile applicabilità. Si sarebbe potuto risolvere la questione in ottemperanza ai canoni di tassatività e determinatezza della norma penale. I rapporti tra esponenti politici e mafiosi costituiscono oggi la vera essenza delle metamorfosi della criminalità organizzata: appoggio elettorale in cambio di benefici di natura politica, imprenditoriali ed economici. Non dimentichiamoci che attualmente chiedere voti alle mafie in cambio di promesse non costituisce reato. Lo stesso problema sussiste anche per quegli imprenditori che si collocano vicino ai politici collusi. Sarebbe stato il caso di affrontare e risolvere il problema all’interno del nuovo strumento giuridico approvato dalla Camera in questi giorni.
Vincenzo Musacchio – Presidente dell’Osservatorio Regionale Antimafia del Molise