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La realtà del Messico nel nuovo documentario di Ivan Grozny Compasso

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Entre la espada Y la pared è il titolo del film che Ivan Grozny Compasso, giornalista freelance tra i fondatori di Articolo 21 Veneto, ha presentato nei giorni scorsi a Padova, città in cui vive. È il suo quarto documentario, dedicato al Messico, dopo “Carlo Petrini, una vita in due tempi”, “Fora da Copa” e “Puzzlestan”. Ivan, che pubblica servizi multimediali su diverse testate come Il Manifesto, La Repubblica, La Gazzetta dello Sport e il settimanale Left, si occupa soprattutto di temi internazionali con reportage dall’America Latina (Brasile, Messico, Argentina…) e dal Medio Oriente (Turchia, Siria, Iraq…). Autore di due libri, “Ladri di Sport” (Agenzia X 2014) e “Kobane Dentro – Diario di guerra sulla difesa del Rojava” (Agenzia X 2015), ha collaborato anche con Gazebo, la trasmissione di Rai 3.

Di cosa parla il suo nuovo documentario?

“Entre la espada Y la pared” l’ho girato completamente in Messico. Una realtà che mi interessava perché anche questo è un luogo di confine, come altri che ho visitato negli ultimi anni, ma lontano dai riflettori di noi europei.

Nel corso degli anni, in Messico, dove non c’è mai stata una dittatura o un golpe militare, una assoluta eccezione nel centro latino America, è stata denunciata la sparizione di circa 29.000 persone. E in Messico non è così scontato andare in un posto di polizia a denunciare la scomparsa di una persona, quindi qualsiasi associazione per i diritti umani che opera in quel territorio sa bene che il numero è assolutamente approssimato per difetto.Per lo più a sparire sono donne, ma non è sempre detto. Un Paese dove con la scusa della guerra ai narcos sono morte 200.000 persone dal 2006 ad oggi. Con l’aiuto di giornalisti, scrittori, attivisti politici, docenti universitari, artisti e gente comune, abbiamo cercato di fare una sintesi di una realtà davvero complessa, dove distinguere bene e male appare davvero difficile.

La collusione tra malaffare e politica e talmente conclamata che sembra di essere a un punto di non ritorno. In questo scenario si muovono migliaia di disperati che scappano dai propri Paesi, da Honduras ed El Salvador ad esempio, che cercano di riparo dalle violenze che si perpetrano nel loro Paese per finire per la maggior delle volte in mani anche peggiori. Sfruttati nelle “cochinas” a produrre droghe sintetiche rimangono intrappolati nella foresta fino a diventare dei fantasmi.

Perché ha scelto questo titolo?

È un’immagine che si usa frequentemente in Messico. È come quando in italiano diciamo di trovarci tra l’incudine e il martello. Esattamente questo. Non avere via di fuga, essere come in gabbia. Ho raccolto storie davvero forti in questo viaggio. Grazie all’esperienza ventennale dell’Associazione Ya Basta, che insieme a Zetagroup ha prodotto il documentario, ho potuto viaggiare dall’estremo sud fino al muro che divide Messico e Usa incontrando tantissime persone che hanno saputo raccontarmi tantissimo di questo Paese. Chiaramente nel documentario ho dovuto fare delle scelte ma certi racconti, certi incontri sono stati davvero decisivi. Alex ad esempio, uno dei ragazzi sopravvissuto alla notte in cui sparirono 43 giovani della scuola Normal di Ayotzinapa. O il giovane ex pandillero della M19, che racconta cosa significa fare parte di queste gang. Una vita di uccisioni e di violenze. Per questo vuole scappare. Le loro testimonianze sono molto toccanti. Due storie di due ragazzi, poco più che ventenni, che si trovano ad affrontare una realtà di enorme sofferenza e violenza.

Il Messico è il paese più pericoloso al mondo per i giornalisti, nonostante non ci si trovi in un territorio di guerra dichiarata. Perché fa così tanta paura chi vuole raccontare la verità?

Come raccontano bene nel film giornalisti come José Reveles o Marta Duran De Huerta, due importanti giornalisti messicani, chi investiga corre più rischi. Con Articolo 19, un’associazione che coinvolge avvocati e giornalisti, simile alla nostra Art. 21, hanno fatto studio coinvolgendo anche Reporter Sans Frontier e altre associazioni che si occupano di questo tema e hanno scoperto che per la maggior parte dei casi i mandanti delle intimidazioni a giornalisti arrivano dalla politica, non dai narcos. È sconvolgente a pensarci. In molti casi poi si arriva perfino a essere uccisi brutalmente. Tutti i giornalisti che appaiono nel film hanno perso colleghi o persone care. Tutti hanno subito intimidazioni e alcuni sono anche sotto il programma di protezione del governo, come il caso di Marta Duran De Huerta, che però è parecchio diffidente ed è molto sorprendente quello che racconta lei a riguardo. Ma non voglio svelare troppo.

Le sue inchieste, i suoi reportage, raccontano spesso di porzioni di mondo dove la libertà di espressione è, se non negata, comunque ostacolata con molti mezzi: come si lavora in quei contesti, quali sono le difficoltà?

Prima di qualsiasi viaggio bisogna fare un gran lavoro preparatorio. Fissare per tempo gli incontri con le persone, le visite ai luoghi. È sempre molto stimolante fare questo tipo esperienze. Dalla Selva Lacandona, nell’estremo sud del Paese, fino a Tijuana, sono più di 3600 Km. E cambia sempre tutto. Avere dei punti di riferimento sicuri è sempre il primo aspetto che bisogna curare. Bisogna muoversi con prudenza ma senza assilli e paure inutili. Di fatto in tre mesi a parte due piccoli episodi, una giornata in cui si è stati evidentemente seguiti per km e una paradossale situazione a Tijuana, non c’è stato motivo di preoccuparsi, personalmente parlando. Va detto che in questi contesti si è talmente assorbiti e dentro la vicenda che è quasi impossibile avere dei cali di attenzione proprio perché si è consapevoli che ci può essere sempre un intoppo dietro l’angolo e questo tiene alta l’attenzione.

Com’è lavorare da free lance oggi, in Italia?

Molto, molto difficile. Con i giornali è praticamente impossibile lavorare, quindi bisogna trovare altri spazi. Ma non è affatto facile. Così si finisce per fare altri lavori per potersi pagare i viaggi e i reportage, col rischio quasi certo di non rientrare con le spese. La maggior parte di chi cerca di fare questo mestiere vive una vita di incertezze e di precarietà.

I link ai due trailer del film:
https://www.youtube.com/watch?v=AtGJqmDER1A
https://www.youtube.com/watch?v=Gas9b_31CAg


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