La nuova “resistenza” degli attivisti. Solidarietà politica, economica e sociale

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Capita sempre più spesso, quando ci salutiamo tra amici, di esortarci vicendevolmente alla resistenza. “Resisti” ci diciamo accomiatandoci. Va detto che i miei amici sono quasi tutti “attivisti”, almeno se, con questa parola, si intende definire chi si impegna minimamente ad ottemperare a quel dovere, peraltro inderogabile, di “solidarietà politica, economica e sociale” imposto dalla nostra Costituzione. Quindi quel “resisti” è un augurio oltre che un invito.

I miei amici e le mie amiche sono giornalisti, insegnanti, medici o infermieri (sovente senza frontiere), religiosi di varia fede, educatori, giuristi ed una schiera di volontari di qualsiasi mestiere ed estrazioni sociale. Resistere è per loro, per noi tutti, necessario. Ed è un atto, come mi faceva notare uno dei compagni di più vecchia data, individuale prima ancora che collettivo. La resistenza è una vocazione ineludibile di salvaguardia dei nostri ideali, dei nostri valori e dunque della nostra coscienza, del nostro equilibrio, ed infine, in qualche forma, anche della nostra salute.

Dobbiamo resistere per riuscire guardarci allo specchio senza eccessiva riprovazione, per riuscire se non a dormire sonni sereni la notte (un lusso che quasi nessuno può più permettersi) almeno a svegliarsi con una certa lucida determinazione la mattina. Resistere, nel nostro amichevole augurio, vuol dire non farci sopraffare dalle fatiche quotidiane, non cedere alle tentazioni della depressione da impotenza, al diabolico “tanto va tutto male e quello che potrei fare io non inciderebbe minimamente dunque non faccio nulla”, non arrendersi solo perchè si sta costantemente dalla parte sbagliata, non finire col credere che solo perchè si è in minoranza si è inferiori, non farsi affliggere dal senso di solitudine così tanto da abbassare l’asticella dei principi etici o addirittura giuridici per creare consensi, mettersi in discussione sempre, ma senza rinnegarsi, crescere senza revisioni nè tantomeno negazioni. Quando ci sproniamo alla resistenza ci sollecitiamo a non cedere alle subdole ed opposte tentazioni, della pigrizia o del narcisismo, che subisce chi sta dalla parte del torto, a fianco degli ultimi, contro poteri che sembrano forti e inattaccabili. In alcuni casi “resisti” è, insieme, ordine e preghiera rivolti anche e soprattutto alle nostre indispensabili forze fisiche, alle nostre non inesauribili energie vitali. Una sorta di divieto alla resa.

Ho l’onore ed il privilegio di conoscere e, in alcune occasioni, di condividere battaglie, seppure a volte solo a distanza, con persone che so invincibili, colpite da ogni forma di “Male”, attraversate da tragedie abnormi generate da un mix diabolico di umana crudeltà e pessima sorte. Penso a chi ha visto morire i propri bambini in un naufragio, a chi ha visto figli o fratelli uccisi dalle mafie o dai regimi, a chi ha subito torture sulle pelle propria o su quella dei propri cari, a chi ha subito violenze, persecuzioni o arbitrarie limitazioni della propria libertà da parte di uomini o istituzioni. Queste creature non si piegano ma neanche si spezzano. Certo qualcosa in loro si lacera definitivamente, ma restano, miracolosamente, fieramente integre e, inaspettatamene, resistono. Trovano la forza di trasformare il loro dolore privato in risorsa per la collettività. Le loro esistenze, la loro resilienza, fungono da esempio e monito. Le loro tenaci lotte per ottenere verità e giustizia, lungi dall’essere egoistiche, sono invero il frutto straordinario di instancabile abnegazione. Sacrificano coraggiosamente le loro straziate energie affiinchè lo scempio che hanno subito, che pure non è riparabile, almeno non sia ripetibile, Perchè l’ingiustizia e la crudeltà ricevuta non debba perpetuarsi. Spesso questa ostinata determinazione diventa fonte per loro di altre amarezze e comporta certamente una buona dose di rischio oltre che di dolorosa fatica. Queste persone, che mai mi sognerei di chiamare vittime, ma piuttosto eroi, conoscono naturalmente e offrono generosamente la ricetta della resistenza. Per chi è, immeritatamente, solo spettatore, testimone ammirato delle vite di queste persone, la resistenza è indubbiamente più facile e dunque decisamente doverosa.

Fonte: Repubblica Genova


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