Ci provano da dieci anni. Cominciò il ministro della Giustizia Mastella nel 2007, governo Prodi. Due anni dopo il ministro Alfano con Berlusconi premier, fino all’attuale guardasigilli Orlando. Tutti sollecitati, incalzati, pressati dalla gran parte della nostra classe dirigente politica e non solo, stanca di veder riportata sulla stampa o in tv, con il testo virgolettato delle intercettazioni, la prova inequivocabile del proprio coinvolgimento in vicende giudiziarie o comunque poco edificanti per chiunque svolga una funzione pubblica. Se non ci fosse l’articolo 21 della Costituzione sulla libertà di espressione e di stampa in particolare e la determinazione dei magistrati e dei giornalisti a difenderlo con il conforto dell’opinione pubblica, il bavaglio sulle intercettazioni sarebbe da tempo legge dello Stato. Se si aggiunge il dilagare delle prescrizioni a causa dei tempi lunghi della giustizia, una buona probabilità di restare impuniti non soltanto di fronte a quest’ultima ma anche davanti al tribunale morale dei cittadini sarebbe assicurata.
A suonare per l’ennesima volta l’allarme è il quotidiano “La Repubblica” che riproduce in fotocopia l’articolo 3 del del decreto legislativo di riforma del codice di procedura, introducendo distintamente l’obbligo per il pm, il giudice delle istanze preliminari e per il tribunale del riesame di riportare le intercettazioni solo “nel contenuto” e non nella versione integrale. Il riassunto, appunto. Se ne era già parlato due anni fa negli incontri col governo sulla legge delega al governo. In quella occasione la mia considerazione è quella che ripropongo oggi: “Quanto alla pubblicazione degli originali da parte dei giornalisti, che per rispettare la privacy dovrebbero limitarsi a un riassunto, non può sfuggire il carattere strumentale e ipocrita dell’argomento quando si tratta di rivelazioni di pubblico interesse. A differenza della viva voce dell’intercettato, qualunque riassunto, anche se scritto dal più credibile dei cronisti, potrebbe essere disconosciuto e smentito. E tanto per restare nell’attualità, pensate che differenza farebbe, per la trasparenza della politica, una registrazione dei colloqui tra Berlusconi e Renzi per il patto del nazareno”.
In altre parole, a lorsignori non interessa censurare la notizia della telefonata o del colloquio, quella può sempre essere smentita, come peraltro avviene abitualmente. Sono le loro medesime parole che devono essere censurate e, se possibile, del tutto dimenticate. E poichè non ci si può fidare del rispetto della norma da parte dei giornalisti, che più volte hanno ribadito l’intenzione di ricorrere contro il bavaglio alla disobbedienza civile, non resta che imporre il riassunto a cominciare dai magistrati e dai primi atti giudiziari. In modo che anche nel dibattito processuale sul reale “contenuto” delle intercettazioni si possa sempre avanzare il dubbio da parte della difesa. Ora, di fronte alla reazione decisa dei giornalisti e della magistratura, Andrea Orlando, che pure quel testo aveva firmato, frena. “Di una cosa sono sicuro, non sarà questo il testo finale della riforma delle intercettazioni”, dichiara e aggiunge “questo è un punto che sicuramente può cambiare”. Probabile che sia sincero il ministro della giustizia, ma se siamo alla firma di un testo scritto vuol dire che nella maggioranza c’è chi non intende cambiare affatto, a cominciare dal suo predecessore Alfano.
Vedremo. Per ora è annunciata un’altra ampia consultazione con i capi delle maggiori procure italiane, le Camere penali degli avvocati, la Fnsi e noti giuristi. Noi non andremo, ha detto il segretario della Fnsi Lorusso, manderemo solo per una cortesia istituzionale le nostre considerazioni sul testo. Il sindacato dei giornalisti infatti sperava di veder arrivare finalmente la promessa normativa sulle querele temerarie e da queste anticipazioni pare che si voglia andare in tutt’altra direzione. Un no deciso al riassunto viene oggi anche dal Consiglio superiore della Magistratura. “Il rischio è di ridurre la genuinità della prova scaturita dalla conversazione intercettata”. E uno dei relatori, Antonello Ardituro della sinistra di Area, precisa che “il grande rischio è che nei singoli passaggi processuali, ci si allontani pericolosamente dal testo effettivo (delle intercettazioni), a danno dell’imputato e della verità processuale”. Per quest’ultima non ho dubbi, ma temo che l’imputato colpevole, specie se “eccellente” e tutelato da una buona difesa, si sentirà al contrario avvantaggiato dall’incertezza sui fatti addebitati.
Quel che è certo è che ci provano e continueranno a provarci. Alfano in testa, regista del bavaglio otto anni fa con Berlusconi, dietro le quinte oggi con i governi Pd. Nelle quattro puntate del video che segue, da me registrate durante lo spettacolo-manifestazione del 23 giugno 2009 al teatro Ambra Jovinelli di Roma, eccovi alcune tra le intercettazioni più sconvolgenti di quegli anni, lette da attori professionisti e commentate dai più noti cronisti giudiziari. Pezzi di storia italiana – come altri documentati in seguito dalla televisione – che non avremmo mai conosciuto se il disegno di legge Alfano sulle intercettazioni fosse già entrato in vigore. Dagli intrighi con la Banca d’Italia dei “furbetti del quartierino” alle penose telefonate di Berlusconi col direttore di RAI fiction, Saccà, dallo scandalo di Calciopoli alla cinica gestione della clinica “Santa Rita”. Buona visione.