Solo numeri messi in fila. Il governo gioca con le parole, ma i problemi sono tutti in campo. La ripresa non è “strutturale”. Una cosa certa: l’intesa per le pensioni non sarà rispettata
Di Alessandro Cardulli
A una rilettura delle diverse versioni che i media, su “indiscrezioni” che arrivano dagli stessi ambienti governativi, offrono rispetto al Def, il documento guida, se così si può dire, per definire la manovra economica, il Bilancio dello Stato che nel mese di ottobre dovrà essere approvato, verrebbe da dire “meglio Renzi che Gentiloni”. So bene che si tratta di una eresia, un peccato mortale, ma perlomeno il signorotto di Rignano nella sua brutalità ti faceva capire le cose come stanno. Non è un caso che i cittadini italiani avendo ben compreso cosa significava la “riforma” della Costituzione che per l’ex premier era una questione di vita o di morte, decisero di dire no alla domanda che gli veniva posta con il referendum. Lo capirono bene tanti milioni, eccetto Pisapia e anche il filosofo Cacciari che pur affermando che era una schifezza votò sì, come chiedeva il Renzi.
Gentiloni, sorride, a volte. Padoan no. Ambedue ti fanno vedere rosa ciò che non lo è
Insomma l’ex premier non è mai stato un raffinato, un fine dicitore, uno che ti frega con il sorriso, anche se un po’ smorto, sulle labbra. Così invece è Gentiloni. Del resto già il cognome ti dovrebbe dare una chiara indicazione. Un Gentiloni, addirittura più che gentile, accoppiato ad uno come il ministro Padoan che non sorride mai perché pensa sempre a come dipingere con il color rosa una cosa che è nera e che al più diventa un po’ più chiara, ma sempre indigesta è. Ieri, nell’annunciare la messa a punto del Def, il Documento di economia e finanza, i due hanno dato prova di grande raffinatezza nell’uso delle parole. Già avevano raggiunto un record nella messa a punto del testo. In poco più di trenta minuti, tanto è durato il Consiglio dei ministri, il documento che avrà una certa influenza sulla vita dei cittadini. Un record, una specie di primato dell’orrore. Gentiloni ha tenuto a dire che la prossima manovra “non sarà depressiva”. Poi, dopo qualche riflessione, proprio per l’animo gentile di cui tiene far mostra, ha rassicurato gli italiani affermando che la manovra sarà “espansiva”.
Un’eleganza di linguaggio, la differenza fra “depressiva” ed “espansiva”
Un’eleganza di linguaggio, una padronanza nell’uso della nostra lingua che Renzi si sogna. Già perché dire che non è “depressiva”, significa che non ti deprimo, resti come sei. Invece dire che la ripresa sarà “espansiva” vuol dire che ti prometto un futuro roseo, un ripresa con i fiocchi, un paese del bengodi.
I media, i giornaloni, gli scriba che si fingono economisti provetti, non ci hanno creduto ma hanno fatto buon viso a cattiva sorte. E tutti o quasi hanno preso per buone le notizie diffuse da Gentiloni e Padoan sulla manovra “espansiva”. Tutti o quasi hanno dato per buona la parola d’ordine, “espansiva”.Tutti o quasi hanno preso per buoni i dati forniti in particolare dal ministro dell’Economia che hanno fatto dire a lui e a Gentiloni che ormai siamo fuori dalla crisi, la ripresa è consolidata grazie a Renzi Matteo, che la crisi ha affrontato e risolto e dal governo attuale, loro due, che hanno proseguito nel solco tracciato dall’aratro. In particolare il ministro ha reso noto che il debito pubblico finalmente è diminuito. Ha dimenticato che proprio a luglio il debito pubblico, fonti ufficiali, era salito a 2300 miliardi, il 18% in più rispetto al mese di giugno. Come la mettiamo? A quale fonte si abbeverano i governanti? Andiamo oltre.
Quando è che si può parlare di ripresa strutturale. Il bluff del governo
Vediamo la famosa “ripresa” di cui parlano i governanti. Dicono che si tratta di “ripresa strutturale”. Bene, allora si tratta di esaminare non alcuni mesi ma un periodo abbastanza lungo, partendo dal momento in cui si èntrati in crisi. Così fanno gli economisti veri. Se così facessero non racconterebbero favole agli italiani. Siamo infatti in presenza, in Italia, di una situazione non consolidata nelle componenti della domanda in assoluto e mediocre nel confronto internazionale. In Europa i disoccupati e i sottoccupati rappresentano il 18%, in Italia il 22%. Rispetto a dieci anni fa i dati negativi riguardano: -6,8% il Pil; -4,2% i consumi privati; -27% gli investimenti; -21,4% la produzione industriale; -2% l’occupazione; +7,1% le esportazioni (ma al di sotto del commercio mondiale). Non solo, per parlare di ripresa strutturale occorre che vi sia aumento della produttività, dei salari, del mercato interno. La ripresa strutturale non si costruisce con la decontribuzione per le imprese.
Scacchetti. Per ripartire servono lavoro e investimenti
Dice Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil, che per far ripartire il Paese occorre puntare “sulla creazione di posti di lavoro e investimenti”. “Il governo –prosegue – dice che vuole favorire il lavoro a tempo indeterminato? Bene, allora è provato, non è la decontribuzione per le imprese lo strumento più idoneo. Occorre riordinare le diverse forme contrattuali dagli stage al tirocinio, tutto ciò che provoca sfruttamento”. Infine, sempre leggendo le cronache con le quali le diverse testate hanno dato conto delle misure che il governo intende adottare, utilizzando quei cinque miliardi che sarebbero utilizzabili nella manovra di Bilancio, ma anche i numeri che Padoan ha reso noti sono da prendere con le molle, siamo in alto mare. Prendiamo per esempio una delle voci che vengono richiamate, il contratto dei dipendenti pubblici. Non ci siamo proprio. Il governo bluffa perché con quanto si dice venga previsto non si coprono gli aumenti previsti dal contratto. Si devono considerare circa 500 milioni necessari per garantire che i bonus di 80 euro non devono essere restituiti da parte di chi con gli aumenti previsti dal contratto supera il tetto stabilito per legge.
Ghiselli: un atto molto grave se il governo non rispetta l’intesa sulle pensioni
Fra le tante voci confuse che i giornali indicano, una invece è certa e il governo si prende una responsabilità molto grave. Riguarda l’intesa per le pensioni siglata un anno fa dal ministro Poletti, leggi governo Renzi, e Cgil, Cisl, Uil. Roberto Ghiselli, segretario confederale della Cgil fa il punto sulla vicenda. “Se il governo con la legge di bilancio 2018 – afferma – non prevedesse le risorse sufficienti a dare attuazione agli impegni sottoscritti dal precedente Esecutivo con il verbale sulle pensioni del 28 settembre 2016, si assumerebbe una grave responsabilità, su un argomento molto delicato e sentito da milioni di cittadini, di tutte le generazioni”. Il verbale, prosegue Ghiselli, “prevedeva l’intervento sulla flessibilità in uscita, sulla prospettiva previdenziale per i giovani, sul riconoscimento del lavoro di cura, sulla speranza di vita, sulla previdenza complementare e sulla rivalutazione delle pensioni in essere. Le proposte che il sindacato unitariamente ha formulato – conclude – rappresentano una risposta ad un’esigenza sociale profonda, e, oltre ad essere del tutto sostenibili finanziariamente, sono utili anche a sbloccare il mercato del lavoro creando nuove opportunità occupazionali per i giovani”.