Ringrazio per l’invito oggi qui, Ringrazio Articolo 21 e i frati francescani. E’ per me sempre emozionante venire ad Assisi.
I ponti uniscono i muri dividono. Ho riflettuto a lungo sulla formulazione del titolo dell’intervento di oggi e sul suo contenuto. Una formulazione che in sé può essere definita una tautologia. Un ponte unisce e un muro divide come è ovvio. Eppure l’ovvio nel linguaggio e sul tema delle migrazioni non c’è più, ammesso ci sia mai stato. Quanto è ragionevole, di buon senso, ovvio, già ascoltato in quanto fa parte di un patrimonio vissuto (noi siamo stati e siamo un popolo di migranti), della nostra memoria collettiva, di un patrimonio culturale acquisito, purtroppo non è più tale e di questi tempi può anche suggerire il contrario di quanto vuole esprimere. Come ricorda il decalogo l’ostilità è una barriera insormontabile per la comprensione. E allora il ponte è sì qualcosa che unisce ma lo è nel senso che diventa quella collaborazione nella fortezza Europa per rafforzare i propri muri. Ecco allora che il senso di un ponte che unisce ha un significato profondamente diverso e oggi sembra quello che ha più esito. E a questo nei mesi scorsi ha contribuito una campagna generale, non solo mediatica, contro le ONG ma direi in generale contro le organizzazioni umanitarie (forse contro il nostro senso di umanità), comunemente riconosciute come costruttrici di ponti. In breve tempo sono divenute invece realtà che minano la stabilità di questi ponti, che minano la stabilità dell’Europea come unione. E ai loro ponti gettati per salvare, raccogliere, proteggere si sono sostituiti i ponti tra le varie milizie della Libia che hanno aiutato a alzare quei muri che imprigionano decine di migliaia di donne, uomini e bambini. Allora i ponti uniscono, sì ma in una identità forte e fortificata, e i muri dividono sempre più noi da loro in una percezione generale che questo sia per il bene di tutti, perché così li aiutiamo a casa loro.
Allora diventa sempre più urgente cambiare narrazione, diventare scorta mediatica della verità, per chi ha sete di pace, verità e giustizia per chi ogni giorno cammina a fianco di chi non ha altro possesso che la propria vita.
Abbiamo sentito più volte papa Francesco suggerire la creazione di ponti in diversi contesti e a diversi interlocutori nel senso vero e profondo di questa affermazione come avrebbe ormai dovuto far parte della memoria della nostra Europa.
All’Europa al CONFERIMENTO DEL PREMIO CARLO MAGNO 6 maggio 2016 diceva :
I progetti dei Padri fondatori, araldi della pace e profeti dell’avvenire, non sono superati: ispirano, oggi più che mai, a costruire ponti e abbattere muri.
a Cracovia ai giovani nel 2016 diceva “Abbiate il coraggio di insegnarci, abbiate il coraggio di insegnare a noi che è più facile costruire ponti che innalzare muri! Abbiamo bisogno di imparare questo.
Per fare solo alcuni esempi.
Eppure sulla questione delle migrazioni in sempre più occasioni si sta alimentando quell’ostilità sostenuta dalla paura (a volte creata a arte) che trasforma le persone migranti, le vittime di guerre e persecuzioni, di cambiamenti climatici, di sistemi sociali ingiusti, vittime di trafficanti spietati in vittime anche di un clima di odio crescente, strumentalizzato dalla politica e manipolato dall’informazione.
Allora le parole anche quelle delle leggi che dovrebbero essere gli strumenti di un vivere civile che unisce attraverso ponti i cittadini del mondo, diventano invece quelle pietre che costruiscono muri per circoscrivere i diritti all’interno degli ambiti angusti delle frontiere degli Stati soffocando l’ampio respiro dei diritti riconosciuti dalle convenzioni internazionali, e all’interno degli stessi Stati diventano invece che quei mattoni per costruire una casa comune mattoni per circoscrivere spazi esistenziali per privilegi di cittadini di sangue.
Allora bisogna ritornar a restituire un senso diverso, direi vero, all’espressione i ponti uniscono, i muri dividono e per far questo occorre avere il coraggio di parlare non solo di numeri ma di persone. Il decalogo lo ricorda bene occorre connettersi con le persone in una rete fatta di fratelli.
Il papa lo ricordava ai giovani a Cracovia
…E tutti insieme chiediamo che esigiate da noi di percorrere le strade della fraternità. Che siate voi i nostri accusatori, se noi scegliamo la via dei muri, la via dell’inimicizia, la via della guerra.
Il ponte torna allora a essere qualcosa che unisce popoli di culture e religione diverse se e solo se torniamo a considerare i soggetti che costituiscono i flussi migratori, quelle persone con storie e volti che parlano a ciascuno di noi. E noi dobbiamo farle parlare queste persone, restituendo la voce ai più deboli. Diceva il Rapporto Carta di Roma 2017 che i migranti continuano a essere i grandi assenti dal discorso mediatico sulle migrazioni. Occorre parlare con loro, lasciare che siano loro a parlare e non solo parlare di loro.
Solo così il ponte tornerà a unire e proveremo vergogna per tutti quei muri che ogni giorno continuiamo a costruire contribuendo a alimentare un clima di odio.