Il Freedom of Information Act (Foia) continua ad essere in Italia oggetto di polemiche, piuttosto che una pratica reale. Infatti, mentre nelle culture anglosassoni (negli Stati Uniti la norma fu introdotta nel 1966) è acquisita da tempo l’opportunità per i cittadini di accedere agli atti pubblici, nella terra dei giuristi il pasticcio è notevole. Ne è prova la vicenda del regolamento prodotto dalla giunta di Roma sull’argomento, ora al vaglio dei municipi e presto sottoposto all’assemblea capitolina. La polemica è scoppiata –con tanto di doveroso intervento della federazione della stampa- perché nel testo un articolo (il n.39) è scritto in modo piuttosto maldestro, dando ragione a chi sospetta che la discrezionalità prevista per il rilascio dei materiali richiesti dai cronisti si possa risolvere in un bavaglio della libera informazione. Come pure sembrano opinabili altri aspetti. L’assessora competente Flavia Marzano, brava e stimata esperta dei settori dell’innovazione, si è incontrata con il sindacato e sta cercando di smussare la controversia. Anzi. Secondo la linea di difesa dell’amministrazione si tratta di un atto dovuto. E’ l’adesione necessaria, si sostiene, alla circolare recentemente varata dalla ministra della funzione pubblica Madia, che interpreta il decreto legislativo del maggio 2016 (figlio della legge n.124 del 2015), entrato in vigore alla fine dell’anno. Le linee guida emanate dall’Autorità nazionale anticorruzione hanno a loro volta interpretato il decreto. Senza dimenticare che il medesimo decreto n.97 esplicava il d.lgs. 33/2013, volto a disciplinare l’accesso civico modificando la normativa-madre del 1990, la n.241. Insomma, un bel ginepraio, che dà sì alla giunta Raggi le attenuanti generiche, ma non l’assoluzione. Quando si toccano i diritti a conoscere, ad informare e ad essere informati servono attenzione e cautela. La buona fede dell’assessora Marzano, che si evince dalle dichiarazioni rilasciate e dalla richiesta di un immediato incontro con la Fnsi, avvenuto senza esito unitario, non basta. Il regolamento, con i suoi articoli e commi sbagliati o discutibili, va rivisto profondamente. A cominciare dall’incriminato articolo 39, comma2. Figlio, però, dell’articolo 8 comma1 della circolare Madia, cui si deve l’origine del caso. Spetta, dunque, innanzitutto al ministero competente provvedere ad una modifica in tempi brevi, proprio per evitare che il caso romano divenga l’inizio di una frana. Sarebbe un vero paradosso: in nome del Foia si incrementerebbe la vecchia e mortificante “strategia del segreto” di cui l’Italia è storicamente intrisa. Tra l’altro, la polemica di questi giorni può essere un utile campanello d’allarme. Si rimetta mano alla normativa generale e si tolgano eventuali alibi a chi ha inconfessabili spiriti censori.
E’ lecito attendersi un chiarimento. Per l’intanto è salutare che il testo romano venga riscritto, visto che la critica e i dubbi sono stati corali. Chiara la posizione sindacale. Del resto, con l’articolo 21 della Costituzione non si deve scherzare mai, essendo sulla libertà di espressione costruito l’edificio democratico. Certamente, l’articolato attualmente in vigore a Roma risale al 2003 e non è granché. Tuttavia, all’epoca ancora non erano entrate in vigore leggi o disposizioni evocatrici del Foia. Ora non ci sono scusanti. Perché non redigere –nazionalmente- un testo breve e chiaro, un reale
Testo unico?
Roma, non fa’ la stupida stasera e, per citare il grande Gigi Proietti, “damme retta lassa perde…”