Se c’era bisogno del sigillo delle Nazioni Unite e dei suoi esperti per spiegare le ovvie circostanze che portano molti giovani africani ad entrare a far parte di gruppi terroristici di matrice islamica, ora quel sigillo c’è. Sta in Journey to extremism in Africa [Viaggio nell’estremismo in Africa], uno studio appena pubblicato a cura dell’UNDP (Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite) il quale afferma, in sintesi, che l’appartenenza religiosa rappresenta solo un corollario nella decisione di imbracciare un fucile o riempirsi di esplosivo.
Le ragioni di questa scelta sono, nello stesso tempo, più profonde e più banali, e si chiamano: povertà, deprivazione, abuso di potere da parte di Governi e autorità.
La ricerca, la prima di questo tipo nel continente africano, consiste in una serie di interviste fatte a circa 500 volontari – 81% uomini, 19% donne tra i 17 e i 26 anni – che hanno fatto parte di gruppi estremisti come Boko Haram, al-Shabaab, ISIS., Al-Qaeda. Ai ragazzi sono state poste domande circa la famiglia di provenienza, la religione di appartenenza e le loro ideologie, la situazione economica.
Ne risulta che per il 71% di loro specifiche azioni del Governo (anche arresti e uccisioni di membri della famiglia) sono state l’elemento scatenante nella decisione di aderire a un gruppo terroristico; l’83% degli intervistati ritiene che il loro Governo “si occupa solo degli interessi di pochi” e oltre il 78% non ripone nessuna fiducia nell’apparato di sicurezza dello Stato – polizia e militari – nè nella politica. Anche la mancanza di cure parentali è un elemento importante scaturito dalle interviste.
Sei i Paesi di provenienza dei giovani intervistati: Nigeria, Kenya, Camerun, Niger, Somalia, Sudan. Tutti Paesi, ovviamente, dove operano i gruppi terroristici in questione. La metà degli intervistati – 51% – ha citato ragioni religiose per giustificare l’adesione ai gruppi, ma il 57% ha ammesso di “comprendere poco o nulla dell’interpretazione dei testi religiosi“. Secondo i ricercatori, al contrario, “ricevere almeno sei anni di scuola religiosa avrebbe la probabilità di ridurre almeno del 32% la possibilità di affiliazione“.
Un’idea largamente condivisa e inculcata tra i giovani intervistati è che “la loro religione sia minacciata“, nonostante la maggior parte di loro ha dichiarato di non essere mai stato fuori dal proprio villaggio o città o frequentato persone con un credo diverso. Questo può far pensare che l’argomento religioso possa essere sempre più sfruttato per il reclutamento contando sulla mancanza di conoscenza e di esperienza di molti di questi giovani. Alcuni di loro hanno infine dichiarato di ricevere una paga dal gruppo e solo il 35% ha detto di non ricevere soldi… Continua su vociglobali