“Fodè, Fodè ! Come stai? “La donna ha un volto di pietra e i lineamenti induriti da una vecchiaia che ha solo nei segni ma non all’anagrafe. Non avrebbe mai immaginato di poter rivedere il suo piccolo Fodè partito due anni fa dal sud del Senegal sul piccolo schermo di un telefonino attraverso whatsapp. Fodè ora ha 17 anni ed è uno dei più promettenti del gruppo di 60 minori stranieri arrivati soli in Italia e accolti al centro Don Bosco di Catania. Il fratello più grande era partito anche lui da Tambacounda: dato per scomparso fino a poco tempo fa quando ha fatto sapere che era vivo in Spagna.
L’idea di far incontrare virtualmente Fodè alla mamma eccita tutti . Gaia, la figlia di Agostino, il presidente della Don Bosco2000 e di Cinzia a cena lei nell’associazione, ha in mano le foto è una lettera portate dall’Italia. Da quel centro di accoglienza per minori non accompagnati dove ho visto con i miei occhi il lavoro certosino e paziente per riuscire in una non facile integrazione nel nostro paese. Entriamo nella povera casa di Fodè in 13. Accolti dalla mamma è da un signora con un copricapo avorio è un sorriso sdentato ma contagioso. Una capra vaga curiosa nell’atrio dove ci fanno sedere.
Nella storia delle migrazioni c’è sempre qualcuno che torna, qualcuno che resta dove trova accoglienza e altri di cui si perderanno per sempre le tracce.
Fodè, il piccolo di famiglia non tornerà più a Tambacounda, come invece ha scelto di fare Seny che ora cerca giovani per portare avanti il progetto di tenere braccia e menti a casa, in Senegal. Seny li cerca tra i suoi amici: alcuni di loro pronti già a mettersi nelle mani dei trafficanti. I più svegli, ci dicono, gli esperti operatori dell’associazione don Bosco 2000 se ne vanno perché questa miseria profonda che non dà speranze non la possono sopportare. Per Jammy, 30 anni, mancava poco alla partenza perché. – ci dice “noi abbiamo bisogno delle cose essenziali sopravvivere. Chi mai altrimenti lascerebbe tutto quello che ha di più caro? . Solo quelli più illuminati capiscono che questo è un paese corrotto dove solo per pochissimi c’è il pane mentre per gli altri c’è solo miseria. Abbiamo tutti paria di andare via, sappiamo quello che succede in Libia ma tra questo e una chance decidiamo di tentare la sorte. Ora che Seny mi ha parlato del suo progetto ho deciso di restare. Ecco, così la nostra Europa sarà qua…”
Anche Duka, 25 anni aveva già contattato gli “amici degli amici” per lasciare il paese da illegale. Dauka ci fa entrare a casa sua. Un ammasso di pietre e di stracci. I suoi fratelli aspettano di mangiare nell’atrio mentre la mamma cucina in un paiolo di rame nero come la fame. Mosche ovunque e giacigli dove i letti sono fatti con la gommapiuma di vecchi sedili sradicati da carcasse di macchine. Ora anche spera in Seny. Anche se ci tiene a precisare : “se va male io parto…”
Mentre Andrea gira le ultime immagini, le sorelle di Duka mi chiedono di far loro delle foto mentre uno dei tre o quattro fratelli maschi – avrà circa 14 anni – mi chiede se gli regalo uno dei bracciali in cuoio e argento che indosso. Non me ne separo mai da anni . Li ho portati con me in ogni trasferta: ma non esito un istante. Ne tolgo uno e glielo metto al polso. A me non serve più.
Angela Caponnetto, giornalista di Rainews si occupa da lungo tempo dei temi dell’immigrazione. Ha raccolto le storie dei migranti subito dopo che qualcuno gli ha teso la mano in mezzo al mare, ha documentato gli sbarchi, li ha seguiti e ascoltati nei centri di accoglienza, filmando il meglio e il peggio della loro seconda vita nel nostro paese. Ora è inviata in Senegal per raccontare l’origine di questo esodo. Ad Articolo 21 manda il suo diario di viaggio
Casa loro. Prima di dare un pesce a qualcuno insegnagli a pescare (diario dal Senegal. 4° giorno)
A casa loro. Dakar/Tambacounda (diario dal Senegal. 2° giorno)