La villa è stata sequestrata e confiscata intorno agli anni 2000. Dopo un iter lungo e complesso è stata sgomberata nel febbraio del 2016 e la Regione Lazio se n’è subito fatta carico, mettendo il bene in sicurezza. Soprattutto per evitare quello che era già accaduto alcuni anni fa, quando un altro immobile dei Casamonica, solo 24 ore dopo lo sgombero, venne internamente distrutto, persino con l’uso di martelli pneumatici. Nell’ultimo anno, inoltre, abbiamo creato un dialogo costante con associazioni, enti locali e cittadini che ha portato alla nascita del bando pubblico, forti anche del regolamento regionale approvato lo scorso 21 marzo in Regione. L‘iter di preparazione al bando è stato fondamentale, il territorio ha risposto positivamente, sono stati ben 11 i soggetti che hanno inviato i loro progetti e una commissione tecnica ha scelto di assegnare la villa a questo bellissimo progetto presentato dall’Associazione nazionale soggetti autistici che sul bene realizzerà un centro polifunzionale e innovativo.
Questa assegnazione rappresenta un “momento storico”, perché?
Assume un valore enorme per lo scenario. Accade per la prima volta che un bene confiscato ai Casamonica, in questa città, chiuda il ciclo che va dal sequestro, alla confisca e soprattutto all’assegnazione. Non era mai avvenuto prima e sottolineo che tutt’ora non si tratta di un contesto semplice: la villa in questione si trova accanto ad altre case in cui vivono membri della famiglia dei Casamonica. Noi siamo arrivati all’assegnazione attraverso la costruzione di una alleanza forte di tutte le componenti dello Stato: dalla procura di Roma, alla sezione delle Misure di Prevenzione del Tribunale, all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la gestione dei beni sequestrati e confiscati alle mafie. Perché lo Stato vince solo quando fa sistema. Aggiungo un altro dato: dai primi sopralluoghi sino alla cerimonia di assegnazione molti cittadini di quella zona erano presenti, in tanti si sono sentiti coinvolti e una parte ha visto questo progetto come una luce di speranza, rispetto alla quotidianità in cui vivono. E’ un segnale estremamente positivo.
Nel dibattito ” mafia.. non mafia...” ancora aperto nella Capitale, chi sono i Casamonica?
Si tratta di un gruppo criminale autoctono fra i più radicati nel Lazio. La sua pericolosità è stata a lungo sottovalutata nonostante a loro carico ci sia una sentenza del Gup del 2 gennaio 2013 che riconosce anche l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. Si tratta di un clan che è in grado di esercitare, in diversi quartieri, soprattutto a sud di Roma un forte potere di intimidazione. Sino a qualche anno fa erano considerati “quelli del lavoro sporco”, un gruppo dedito soltanto al recupero crediti per conto di Nicoletti e della Banda della Magliana. Negli ultimi anni le inchieste ci restituiscono l’immagine di un gruppo che ha solidi rapporti con ‘ndrangheta e la camorra e che accumula significative ricchezze, come dimostrano i provvedimenti patrimoniali. Se noi dovessimo rappresentare virtualmente ad un tavolo i clan più importanti di Roma, loro a quel tavolo ci sarebbero: sono nell’ elites criminale della Capitale.
In questi giorni si è tornato a parlare dei beni confiscati nel Lazio, alla luce dell’emergenza abitativa nella Capitale, qual è la situazione?
Nel Lazio gli immobili assegnati sono 473, mentre 1137 sono ancora in gestione all’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alle mafie. C’è la necessità di una maggior sinergia tra le istituzioni, gli enti locali e l’Agenzia. L’agenzia fa un ottimo lavoro ma va rinforzata e da questo punto di vista speriamo che la Camera approvi al più presto la riforma del Codice Antimafia, che al suo interno contiene un rafforzamento dell’agenzia sotto questo profilo. I beni confiscati, anche nel Lazio, possono essere volano di sviluppo. In alcuni casi anche opportunità per l’emergenza abitativa, senza però immaginare che siano la soluzione a questo problema. E’ una questione di numeri: a Roma gli appartamenti disponibili sono soltanto 200, non sufficienti a coprire i numeri su cui stiamo ragionando in queste settimane, rispetto al tema dell’accoglienza. Auspico comunque che il Comune di Roma possa approvare al più presto il regolamento sui beni confiscati alle mafie e che tutte le istituzioni facciano squadra, appunto, su questo tema.
A tal proposito, in cosa consiste il regolamento sui beni confiscati già approvato dalla Regione Lazio?
Si tratta di un testo che ha messo in chiaro alcune precauzioni e attenzioni legate all’aspetto del riutilizzo sociale dei beni. In primis, la trasparenza anche all’interno delle associazioni che gestiscono il bene. In secondo luogo un prolungamento dei tempi di assegnazione sino a nove anni, rinnovabili, se il percorso procederà in maniera positiva. E, infine, controlli periodici sui bilanci delle associazioni, sui soci e sulla natura dei rapporti di lavoro stipulati all’interno dei soggetti gestori. Un regolamento volto dunque ad assicurare un pieno e trasparente riutilizzo dei beni confiscati ai boss.
Nonostante 92 clan presenti nella regione da almeno trent’anni, indagini e processi, è ancora forte il fronte di chi nega la presenza delle mafie sul territorio. Cosa ne pensa?
Con l’arrivo del procuratore Giuseppe Pignatone e del procuratore aggiunto Michele Prestipino c’è stata una inversione di tendenza, una più accentuata azione investigativa contro le mafie nel Lazio.Oggi Roma rappresenta un polo di eccellenza nel metodo investigativo, per i risultati prodotti. Questo non basta. L’azione della magistratura e degli organi investigativi deve essere maggiormente condivisa da parte di tutta la classe dirigente del Lazio. Noi – come Regione – con il Rapporto “Mafie nel Lazio” così come con l’attività di promozione del riutilizzo sociale dei beni confiscati cerchiamo di fare questo ma registriamo intorno ancora un atteggiamento di minimizzazione rispetto alla presenza delle mafie nel Lazio. Basta vedere la reazione davanti alla sentenza del processo “Mafia Capitale”. Per molti esponenti politici è stata accolta come una sentenza “liberatoria” nonostante fosse una provvedimento molto pesante che nel merito dei singoli reati contestati ha confermato l’impianto accusatorio e inflitto pene molto dure agli imputati. Così come ad Ostia c’è ancora un controllo del territorio e – nonostante alcune sentenze si contraddicano rispetto alla “mafiosità” dei clan che lì operano – per chi vive quel territorio non c’è dubbio alcuno sull’uso metodo mafioso da parte di questi gruppi criminali. E’ soprattutto su questi aspetti che servirebbe una maggiore presa di coscienza da parte della classe politica.
Prossimi interventi dell’Osservatorio?
L’attività continua: entro il mese di settembre presenteremo con Transcrime una radiografia sull’economia criminale nel Lazio, attraverso l’analisi delle aziende confiscate nella regione. Ci prepariamo inoltre ad aggiornare il rapporto “Mafie nel Lazio”, il terzo in tre anni. Infine, tra novembre e dicembre, come ogni anno, tornerà un momento di dibattito pubblico molto importante per noi sul tema delle mafie nel Lazio, il meeting “Lazio senza mafie” con la partecipazione di studenti, magistrati, studiosi del fenomeno e giornalisti.