Il giornalismo d’inchiesta e la ricerca scientifica a volte riescono ad anticipare fenomeni che solo alcuni anni dopo diventano pubblicamente evidenti, magari grazie all’intervento risolutorio delle forze dell’ordine. Sono molti i saggi e gli articoli che hanno analizzato e denunciato ad esempio il sistema di tratta internazionale e di truffa che coinvolgeva in provincia di Latina diverse comunità migranti, in particolare bangladese e indiana. Ed ora a certificare in modo chiaro e incontrovertibile il fenomeno è intervenuta la Questura di Latina e il commissariato di Fondi che, su delega della Procura della Repubblica di Roma-Direzione Distrettuale Antimafia, hanno notificato la conclusione delle indagini a 37 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di cittadini stranieri provenienti dal Bangladesh, India e Pakistan, nonché di contraffazioni, falsi ideologici e di aver indotto in errore pubblici ufficiali adibiti al rilascio di nulla osta di ingresso, visti di ingresso e rilascio di permessi di soggiorno. Accuse importanti che mettono in luce un sistema rodato che, violando le leggi vigenti, ha consentito a criminali di diversa nazionalità di reclutare loro connazionali nei paesi d’origine e di condurli nel pontino in maniera di fatto irregolare sebbene mascherata da una supposta regolarità formale, in cambio di notevoli somme di denaro, condannandoli a lavorare in condizioni spesso pessime nelle campagne o in altre attività particolarmente pericolose e faticose.
L’attività investigativa condotta dalla Polizia di Stato del Commissariato di Fondi è durata circa tre anni e ha accertato l’esistenza di una vera e propria associazione criminale operante nell’agro fondano e con ramificazioni a Roma, dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Uomini e donne che poi si ritrovano in alcune piazze del Sud Pontino, come ad esempio Terracina, per essere trasportate dal caporale di turno, nelle aziende agricole locali ed impiegate per molte ore al giorno in cambio di misere retribuzioni.
Secondo quanto emerso dalle indagini, il gruppo criminale favoriva l’ingresso in Italia di migranti con regolare invio telematico da parte dei datori di lavoro sebbene le numerose richieste di nulla osta inoltrate venissero effettuate con l’unico scopo di lucrare sugli stessi cittadini di origine straniera, i quali, per poter ottenere la richiesta nominativa da parte del datore di lavoro, indispensabile per il ritiro del visto d’ingresso, erano disposti a pagare ingenti somme di denaro, variabili dai 5000 ai 15.000 euro.
Un sistema già analizzato nel volume La Mafie Straniere in Italia (edito da Franco Angeli) nel 2016 in cui si ricostruisce, sia pure sul piano sociologico, quest’articolata organizzazione, specificandone aspetti ulteriori. L’auspicio è che questa inchiesta apra la strada e nel contempo rompa un muro di omertà consolidato anch’esso, a molte altre, allargandosi anche al territorio del Nord della provincia pontina e in particolare a Sabaudia in cui, la gestione criminale dei flussi migratori attraverso alcuni “boss” migranti, a volte in associazione con italiani, costituisce una delle ragioni principali della continua emarginazione della comunità indiana e la sua segregazione all’interno della nicchia occupazionale specifica del bracciantato. Sarebbe interessate ad esempio indagare sulle relazioni locali, comprendendo anche quelle politiche, e internazionali, di alcuni indiani particolarmente benestanti. Si potrebbe scoprire che essi sono il terminale di un sistema assai vasto che riesce a tenere insieme la tratta internazionale, lo spaccio di sostanze stupefacenti spesso usate nei campi agricoli dai braccianti indiani allo scopo di sopportare le fatiche legate allo sfruttamento lavorativo, il riciclaggio di denaro, le truffe ai danni dello Stato e dei migranti indiani stessi. Qualcuno, ingenuamente o con maligna stupidità, potrebbe pensare che in quanto sistema criminale prevalentemente straniero, esso è tutto sommato poco rilevante. Queste tesi, che peraltro nascondono, anche malamente, una serie di pregiudizi, luoghi comuni e di razzismo, costituiscono la ragione principale per cui tali sistemi criminali si ingrandiscono, riescono a tessere relazioni consolidate con la politica e l’imprenditoria locale, formano il loro linguaggio specifico e pratiche tipicamente mafiose, sino a determinare condizioni di vero e proprio assoggettamento dei lavoratori e delle lavoratrici indiane. Nel pontino non ci vuole molto a capire come funziona questo sistema e insieme ai criminali indiani sarebbe interessante anche indagare su quegli italiani che riescono a trarre vantaggi lucrosi dallo sfruttamento e dal sistema di truffe.
Falcone diceva che per scoprire le mafie si deve seguire l’odore dei soldi. E ora sappiamo quanto avesse ragione. Forse, insieme all’odore dei soldi in questo caso sarebbe utile seguire anche l’odore di una parte dell’ortofrutta pontina per capire chi sono i padroni e i padroni che comandano a gestiscono affari milionari, sulle spalle dei lavoratori, degli imprenditori onesti e dei consumatori finali.
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