All’indomani della consultazione autogestita contro la decisione del capo dello Stato, Nicolas Maduro, di istituire un’Assemblea costituente al posto del Parlamento – che ha coinvolto oltre sette milioni di venezuelani nel mondo – la visita romana di Hernández è stata l’occasione per ascoltare la voce di uno dei più eminenti intellettuali latinoamericani, costretto all’esilio, una critica da sinistra del regime chavista.
Tulio Hernández è stato direttore di fondazioni culturali pubbliche e private, scrive da vent’anni nel supplemento domenicale del El Nacional. È stato inoltre consulente per l’Unesco, l’Unicef, l’Organizzazione degli Stati Iberoamericani e l’Ateneo di Caracas, nonché membro dei consigli di redazione di importanti riviste venezuelane e latinoamericane.
Hernández era uno dei sociologi ai quali intellettuali e storici europei si rivolgevano, sin dagli anni ’90, per conoscere le condizioni materiali di vita dei venezuelani, la crescita della povertà che tagliava fuori ampli strati della popolazione, determinando la scomparsa di ogni speranza, la degradazione del tessuto civile, l’aumento esponenziale di una feroce violenza criminale.
Adesso è un esule. La sua posizione critica si è accentuata dopo la morte di Hugo Chavez con l’insediamento di Maduro. R appresentava da tempo una dissidenza intellettuale difficile da sostenere per il regime, vista anche la sua autorevolezza internazionale e per il suo percorso politico e culturale progressista e di sinistra, ma la situazione è precipitata dopo la pubblicazione di un tweet in cui invitava i giovani venezuelani a difendersi dalla violenza delle armi delle bande che appoggiano il regime anche “tirando i vasi” dalle finestre. E’ stato per questo oggetto di una dura campagna di accuse di incitazione alla violenza e, in occasione della morte di una donna colpita da una bottiglia di acqua ghiacciata, è stato indicato dalle voci del regime come “mandante morale” di quel tragico atto, fino alla presa di posizione dello stesso Nicolas Maduro che ha pubblicamente affermato che avrebbe dovuto essere arrestato.
A quel punto amici e parenti lo hanno costretto a lasciare il paese. Dopo essere andato in Colombia, il cui confine è quotidianamente attraversato da tanti venezuelani in cerca di quei generi di prima necessità di cui il paese è ormai sprovvisto, Hernández è poi arrivato in Spagna, dove oggi vive.
Intanto lo Stato latinoamericano è sempre più vicino a una vera e propria guerra civile, una sanguinaria repressione che assomiglia più a un golpe militare. Il gruppo di mediazione internazionale – formato dai tre ex presidente di Spagna, José Luis Rodríguez Zapatero, República Dominicana, Leonel Fernández e Panamá, Martín Torrijos – tenta di trovare una soluzione alla crisi politica ma, dopo il successo dell’intercessione per la liberazione dal carcere del leader dell’opposizione, Leopoldo López, il diffondersi delle violenze ha reso sempre più difficile il lavoro e ha chiamaro in causa l’Europa ad agire per evitare una drammatica degenerazione della situazione e coinvolgere tutti gli attori in un lavoro di mediazione per l’interesse del Venezuela. In questo frangente, la testimonianza di Tulio Hernández può essere utilissima per sciogliere riserve e preconcetti sulla situazione del Paese e incentivare la consapevolezza internazionale della necessità di agire per interrompere la deriva, prima che sia troppo tardi.
Hernández, nel suo ultimo libro “Una nación a la deriva” definisce quanto sta avvenendo nel suo paese come un “sequestro della nazione” portato avanti con mano militare, lentamente.
“Ho spesso fatto ricorso a un’immagine zoologica per spiegare cos’è successo – racconta Tulio – I Colpi di stato, le dittature militari e le rivoluzioni comuniste sono come la zampata della tigre. Improvvisa, rapida e sanguinosa, senza scrupoli, etica ne finte. I neo-autoritarismi invece sono lenti, senza fretta, poco visibili e con poco spargimento di sangue all’inizio. Sembrano più l’abbraccio della boa, che soffoca lentamente la vittima, senza che essa sia in grado di reagire”.
Hernandez sostiene che il modo in cui si é svolto il sequestro della nazione deve considerararsi come un sistema, articolato e sequenziale, di tenaglie che si sono chiuse lentamente lasciando i venezuelani quasi paralizzati.
Una tenaglia politica che ha accerchiato ogni sorta di opposizione.
Una tenaglia sui media, che ha creato una sola voce dominante.
Una tenaglia ideologica che ha scritto una nuova versione della storia nazionale, svalutando i civili e valorizzando solo l’aspetto militare.
Una tenaglia economica, con il controllo di cambio come combustibile, che ha minato l’economia produttiva privata.
E una tenaglia politico-militare che ha trasformato il paese in un campo di sorveglianza, di controllo e di confinamento.
Ma per fortuna non tutto è rimasto confinato nel Paese e il mondo ha finalmente compreso che non può più più ignorare la deriva venezuelana.