Ci sono paesi , e sistemi istituzionali , nei quali con una stessa legge elettorale si vota per decenni ; e altri paesi e altri sistemi , come il nostro , in cui si prova a cambiare sistema di voto ad ogni governo . Governo , non parlamento : la pratica italiana prevede che l’iter legislativo si possa snodare per intero dentro e tra i palazzi del governo , con un sigillo finale e meramente formale delle camere , sotto specie di conferma della fiducia al governo. Senza alcuna valutazione di merito , ogni voto di fiducia è uguale al precedente. Così è stato per le due ultime leggi elettorali . Nell’ultimo caso , detto Italicum , con il dettaglio della brutale delicatezza di rimuovere dalla commissione referente tutti i deputati autonomamente pensanti del partito di governo , per sostituirli con colleghi di tendenza ortodossa . Le forzature istituzionali non sono mai rievocate inutilmente o puntigliosamente , ma servono a ricordare che quella che , nei rispettivi ambiti , uno studioso come Maranini e un politico come Pannella chiamavano partitocrazia , è viva e vegeta , e sempre più spregiudicata nella gestione delle istituzioni.
Per questo ci troviamo , a poche settimane di lavoro parlamentare utile dal voto , dentro il paradosso di un parlamento inceppato e impotente e di partiti indisponibili verso tutto quanto non rientri su misura nei propri divergenti interessi. Ripiegato l’obiettivo spavaldo del ” vincitore da conoscersi la sera stessa del voto” , si marcia uniti , o quasi , le orecchie abbassate , verso un ritorno trionfale alla realtà alle camere fotografia delle tendenze del paese : naturalmente ritoccata a favore dei maggiori partiti , per via di misurati sbarramenti all’ingresso. Rimandando quindi la soluzione dei problemi di governo a dopo il voto , sotto la riabilitata regia del capo dello Stato : e con piccole , innocue soddisfazioni , quale quella di non sentire più parlare di governi non eletti dal popolo , o altre corbellerie costituzionali che hanno imperversato fino ad oggi per tutta la seconda repubblica.
Proporzionale congegnato in modo tale , se sarà , dall’apparire come un “tutti contro tutti”: senza le zone di tregua costituite dalle coalizioni , che probabilmente non ci saranno, almeno prima del voto. Non sentiremo parlare, forse , di centrosinistra e centrodestra , per la inopinata riluttanza dei leader dei potenziali schieramenti . Nel primo caso , per un inestricabile groviglio di egoismi , rancori , veti , gelosie , intolleranze da scissione , che la fine della convivenza non ha diluito , anzi. Nel caso del centro destra , non tanto per le distanze programmatiche , che il multiforme inventore della coalizione ha dimostrato in passato di saper abilmente sorvolare , omogeneizzando ingredienti incompatibili quali nazionalismo esasperato e separatismo . Quanto per complicati calcoli di convenienza , tra intesa di coalizione o grande coalizione.
Primo non perdere , il nuovo motto : che risente della ingombrante e ruspante presenza del non coalizzabile movimento cinque stelle , il vero bersaglio concentrico di tutti gli altri. Quindi , rinviare le scelte a dopo il voto , aggiustando le cose nel modo che oggi non si può proclamare , ma che sottovoce tutti dicono. Con la flebile speranza che , tra i mezzi possibili , ci sia almeno risparmiato quello delle traversate parlamentari , una tra le vergogne di questa legislatura , che pure si rischia di rimpiangere .
Buon lavoro al presidente Mattarella , quindi. Il suo compito , non suoni irriverente , rischia di fare impallidire la difficoltà di portare in salvo la capra ed i cavoli sull’altra sponda del fiume.
Eppure , se si desse un qualche peso alla volontà sempre espressa dagli elettori negli appositi referendum – come dovrebbe fare una buona politica – , il tentativo di agganciare il dopo elezioni a qualcosa di espresso già in campagna elettorale darebbe il senso di una parziale volontà di riscatto dei partiti. E questo non potrebbe essere se non la sfida separata al movimento isolazionista da parte di due schieramenti che ricordino l’idea di una sfida tra conservatori e progressisti : obiettivo che , al momento , compare con una certa nitidezza sui due fronti solo attraverso le posizioni espresse dall’ex sindaco di Milano Pisapia e dal quasi sindaco della stessa Milano Stefano Parisi , dopo avere per qualche giorno orientato il posizionamento della tenda di Romano Prodi ,che si è arreso quasi subito di fronte alla impossibilità di tenere uniti due fronti dell’originario partito democratico . La famosa colla che non tiene e non può tenere , come qualcuno ricorderà .
L’espansione non ancora definita e definitiva dei margini di influenza del capo dello Stato non potrà spingersi dentro il merito della soluzione elettorale , relativamente agli sviluppi del dopo voto. C’è un aspetto su cui il capo dello Stato , per il compito prioritario di difesa di principi e diritti costituzionali , potrà svolgere un condizionamento attivo ed anche esplicito: quello della difesa della sovranità degli elettori. Da ripristinarsi , senza che sia intaccato il ruolo nitidamente terzo a cui questo presidente ha legato il proprio mandato : attraverso la ricucitura del legame tra eletto ed elettore , rappresentante e rappresentato , e quindi con la scelta diretta dei parlamentari . Ricucitura da rendere permanente , per la durata della legislatura , con il rispetto da parte degli eletti per la destinazione originaria dentro la camera di appartenenza. Se questo sarà possibile , si potrà iniziare ad intaccare quel processo di sfiducia verso la politica e , per colpa della politica , verso le incolpevoli istituzioni , che sembra irreversibile. Toccherà poi alla politica stessa ,con le proprie scelte di merito , provare a fare il resto.
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