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Un calcio al nazionalismo. La carovana Football No Limits in Bosnia Erzegovina per combattere vecchi e nuovi muri

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Raccontando l’esito di un colloquio con la teologa tedesca Dorothee Solle, Eduardo Galeano scrisse che per spiegare la felicità a un bambino non farebbe altro che consegnarli un pallone per giocare a calcio. È una massima che i responsabili di Ipsia, l’organizzazione non governativa che fa riferimento alle Acli, conoscono molto bene se è vero che da oltre vent’anni i loro progetti di cooperazione nell’area balcanica vertono proprio sullo sport come veicolo per l’integrazione tra le diverse comunità religiose.
Tra le metà e la fine di luglio l’ultima iniziativa con la carovana Football No Limits, composta da volontari italiani e bosniaci, che per il secondo anno consecutivo ha percorso in sette tappe il territorio della Bosnia Erzegovina. Un’occasione per veder giocare sullo stesso prato bambini di religione musulmana, cattolica e ortodossa in un paese nel quale, a due decenni dalla fine della guerra, è tornato a soffiare forte il vento della separazione.

Stazione di partenza del viaggio è Bosanska Krupa, piccolo centro nel nord del paese. La piazza principale è la rappresentazione visiva del modello di convivenza praticato, pur tra mille contraddizioni, dalla ex-Jugoslavia e distrutto dalla guerra nazionalista dei primi anni Novanta. A distanza di pochi passi e racchiusi in un unico sguardo si trovano la moschea, la chiesa cattolica e quella ortodossa.

Emir Sedic, oggi educatore sportivo e ai tempi della guerra combattente nella resistenza, mostra con orgoglio il simbolo della sua città. Lui, del resto, è tra quelli che non hanno mai smesso di credere in quell’idea di convivenza, che sia trattato di farlo imbracciando il fucile contro le armate serbe che avevano occupato Krupa, che si tratti di farlo oggi facendo giocare i bambini a pallone.
«In vent’anni di lavoro in questo territorio -racconta Mauro Montalbetti, presidente di Ipsia- abbiano cercato di favorire la ricostruzione di un tessuto associativo e l’esperienza di Krupa, dove sono rinate attività di aggregazione sportiva per i più giovani, è di certo tra le migliori».
Si tratta però di una goccia nel mare della distrazione con la quale l’Europa guarda a questo paese. Se la logica conseguenza degli accordi che misero fine alla guerra sarebbe stata l’adesione di tutti gli stati della ex Jugoslavia all’Unione Europea, oggi lo scenario è radicalmente mutato. La Turchia continua a rafforzare a suon di denaro la sua influenza sulle popolazioni musulmane con l’ambizione, neppure troppo celata, di costituire un’area omogenea che attraversi Kosovo, Albania e Bosnia. Dall’altro lato, il nuovo governo nazionalista croato sta rianimando le spinte separatiste, mentre i serbi della repubblica autonoma guardano con sempre maggiore interesse alle lusinghe che arrivano da Mosca.

Il solo fattore unificante rischia così di essere la povertà, con percentuali di disoccupazione da capogiro in particolare tra i giovani.

La seconda tappa è Bosanski Novi, quaranta chilometri ad est di Krupa ma già nel territorio della repubblica serba.  Qui i ragazzi che partecipano alle attività di Football No Limits  non sono più di cinquanta, un terzo di quelli visti a Krupa e meno della metà di quanti parteciparono lo scorso anno. Colpa dell’emigrazione, spiegano i responsabili della squadra di calcio locale. Chi può, anche qui, prende la strada della Germania o della Svizzera e il paese rapidamente si spopola. Ovvio che in questo scenario le sirene del nazionalismo siano tornate a farsi sentire forte.

Lungo strade dove i segni della guerra sono ancora evidenti con case distrutte e mai ricostruite, la carovana sfiora poi il confine croato lungo il fiume Sava per gettarsi infine nell’Erzegovina fino a raggiungere Mostar.

Con Sarajevo è stata la città simbolo del conflitto degli anni Novanta e tutt’oggi fotografa bene le difficoltà che ci sono nella convivenza tra i gruppi religiosi. Le migliaia di turisti che si riversano nelle vie del centro intorno allo storico ponte ottomano occultano ma non cancellano le contraddizioni aperte, a partire da un governo cittadino bloccato da un bizantino regolamento amministrativo scritto per mantenere l’equilibrio nella rappresentanza tra cattolici e musulmani.

Eppure qualcosa si muove. Il Velez, l’antica squadra di calcio della città cacciata dal suo stadio ai tempi della guerra, sta costruendo un nuovo impianto e ha progetti ambiziosi. Il campetto di Kantarica dove la carovana italo-bosniaca ha organizzato le sue attività sportive è stato da poco ricostruito con i soldi della cooperazione giapponese ed è tornato a  essere punto di riferimento per i giovani. Anche qui il fuoco continua però ad ardere sotto la brace. Per riaccendere la spinta del nazionalismo basta un soffio e molti potrebbero avere l’interesse a farlo.

«Sono anni che proviamo a spiegare che in questi territori si sta nuovamente caricando una bomba a orologeria -conclude Montalbetti-. Rallentare il processo di integrazione è un errore che l’Europa potrebbe pagare a caro prezzo».

Il rischio è quello di avere un’area balcanica divisa tra le mire espansionistiche di Erdogan e Putin da una parte e governi neo autoritari come quelli ungherese e croato dall’altro.

Football No Limits ha terminato il suo viaggio, ora toccherebbe alle diplomazie e ai governi europei europee giocare la propria partita per non veder crescere una polveriera alle porte dell’Unione, proprio come accadde all’inizio degli anni Novanta. Avranno voglia di farlo?

*Stefano Tallia è segretario dell’Associazione Stampa Subalpina e giornalista della Tgr Piemonte. Ha preso parte come volontario alla carovana Footoball No Limits che dal 20 al 30 luglio ha attraversato la Bosnia Erzegovina. L’iniziativa si è aggiudicata nel 2016 il premio europeo “Etica e Sport” bandito dalla Fondazione Rinaldo Bontempi e Maurizio Laudi e il riconoscimento sportivo della città di Bosanska Krupa (BiH). Quello che segue è un diario del viaggio appena concluso. (www.footballnolimits.org)     


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