Nel concetto di scorta mediatica che cerchiamo di far passare non c’e’ il benché minimo elemento di corporativismo. Non e’ il giornalista l’intoccabile, ma il diritto di cronaca. La valenza pubblica di questa forma di difesa e’ questa. E’ evidente che il dato umano sia importante e che tutti noi siamo preoccupati per la persona di Paolo Borrometi, che a lui siano indirizzate le nostre espressioni di solidarietà con invito chi e’ preposto a questo a rafforzare la vigilanza per la tutela fisica del collega. Ma questo atteggiamento chiunque lo avrebbe nei confronti di un amico che vede in pericolo qualsiasi ne siano le ragioni. Il punto e’ un altro:non lasciar cadere quelle inchieste, quei temi che hanno suscitato la reazione malavitosa. E’ quello l’interesse pubblico, la funzione sociale del giornalismo che va tutelata dalla parte della comunità. Perciò va condiviso l’appello di Beppe Giulietti, per queste ragioni la Rai e’ in qualche modo obbligata ad esserci in questa partita, perché e’ un player nazionale coi soldi dei cittadini.
Meglio ancora se il giornalismo nel suo complesso con uno scatto di consapevolezza assuma in carico l’idea di scorta mediatica per la quale in buona sostanza da un lato si evita che il peso del non oscurare certi temi sia su una sola persona che cosi’ diventa bersaglio, ma dall’altro soprattutto si dimostra a chi cerca di impedire l’esercizio del diritto di cronaca, cui corrisponde il diritto del cittadino a essere correttamente informato che quell’attivita’ violenta genera il controproducente effetto di moltiplicare i soggetti che disvelano certe situazioni, nel caso di Borrometi, che siano in tanti a parlare della mafia del ragusano. Rai dunque in campo,ma poiché anche l’ordine dei giornalisti e’ come ente pubblico associativo, un pezzetto di Stato occorrerà che stimoli e patrocini un premio “scorta mediatica” per la migliore inchiesta rilanciata ovvero per la migliore attività di soccorso al cittadino che rischia non poter sapere.
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