“Apprendiamo dalla stampa e dal web che la Commissione Parlamentare d’indagine sulle periferie insieme ad esponenti dell’Amministrazione Capitolina ha effettuato lo scorso 1 agosto una visita ad alcuni dei cosiddetti campi nomadi di Roma, nonché i giudizi espressi a caldo da alcuni componenti. Ne deduciamo che si è perduta una buona occasione per andare a fondo del problema, limitandosi ad esaminarne un unico aspetto, quello dei roghi e dei fumi inquinanti – certo grave ed inquietante -, ignorando gli altri – non meno gravi ed inquietanti – che non appaiono agli occhi solo di chi non vuole vederli. Come al solito si è fatto di tutt’erba un fascio. Ma non tutti i roghi sono eguali, tanto negli effetti quanto nella cause”. Lo scrive in una nota l’Associazione di Promozione Sociale “Cittadinanza e Minoranze”.
“Hanno certo ragione i cittadini che abitano nei pressi dei campi cosiddetti nomadi a lamentarsi e protestare per i tanti e pesanti inconvenienti causati dalla vicinanza di quei luoghi di degrado, una specie di discariche di esseri umani di serie C o D. Hanno ragione ad allarmarsi quando vedono non lontano da loro accendersi roghi e levarsi maleodoranti fumi che costituiscono una minaccia per la loro salute e per l’ambiente.
Ma avrebbero motivi ancora maggiori per lamentarsi e protestare gli stessi occupanti dei “campi” che più di altri sono esposti agli effetti dannosi di un’aria fortemente inquinata dai fumi tossici dei roghi che essi stessi provocano. Nelle immediate vicinanze dei loro miserrimi ricoveri si accumulano cataste di immondizie perché l’Ama non va a rimuoverli e marciscono al sole torrido di questi giorni. Non hanno altra scelta: o respirano aria inquinata dai fumi tossici o respirano aria inquinata dai miasmi della putrefazione dell’immondizia, o affrontano il rischio a medio termine della tossicità dei fumi o quelli immediati di infezioni e della convivenza con ratti grandi quasi quanto gatti, attirati dalla sporcizia.
I rifiuti che si accumulano nei pressi e dentro i cosiddetti campi nomadi non sono prodotti soltanto dagli abitantoi dei campi. Né le istituzioni sembrano accorgersi né i media riferiscono della pratica sviluppatasi da tempo di sversare nelle adiacenze in particolare di alcuni campi, quali La Barbuta, Salone, Monachina, Salviati, rifiuti di ogni genere, in particolare materiali di risulta da lavori edili, ad opera sia di da cittadini italiani sia di rom ingaggiati da non rom. Eppure sono ben visibili i camion che arrivano e scaricano illegalmente. Ma quella è terra di nessuno.
E’ incontrovertibile che i campi sono dei ghetti etnici dove si realizzano forme di vera e propria esclusione razziale peraltro promossa istituzionalmente (per il campo de La Barbuta esiste una sentenza del Tribunale di Roma in tal senso).I ghetti etnici sviluppano – ovunque nel mondo – una propria dinamica non esente da filiere di illegalità. La soluzione quindi non può stare nel reprimere gli effetti ma nel rimuovere le cause cioè nel superamento della ghettizzazione dei Rom dei Sinti e dei Caminanti.
Dalla dichiarazione del presidente della Commissione parlamentare on. Andrea Causin, riportata nei resoconti giornalistici , secondo cui <E’ incredibile che a pochi chilometri dal cuore delle istituzioni abbiamo situazioni di questo tipo> ci si sarebbe potuto attendere l’indicazione di misure urgenti per superare tali situazioni. Ed in particolare un invito perentorio alla Regione ed al Comune di dare immediatamente inizio all’attivazione di percorsi di inclusione sociale finalizzati al superamento dei campi, secondo i criteri indicati dalla Strategia Nazionale approvata dal Governo Monti. Ed invece no. I rimedi invocati sono <il presidio dell’ esercito, delle forze dell’ordine … un investimento di videosorveglianza>. Cioè: impedire i roghi e i fumi. che giustamente esasperano gli abitanti dei dintorni. I Rom, ben controllati e segregati nei loro “campi”, vi marciscano pure.
Dal canto suo, la Sindaca Raggi, invece di por mano alla reimpostazione del “Piano per il Superamento dei Campi Rom” deliberato dalla Giunta, onde renderlo efficace e coerente con gli obiettivi della Strategia che non punta semplicemente alla chiusura dei campi ma a reintegrare la più derelitta delle minoranze etniche nei diritti di cittadinanza, ha colto prontamente il suggerimento della videosorveglianza stanziando 50.000.00 euro per l’acquisto di telecamere.
Il fatto è che vi è una conoscenza assai approssimativa e lacunosa della fenomenologia della vita dei campi nei quali è segregato circa il 20% dei rom residenti in Italia, essendo l’altro 80% bene integrato. Il che dovrebbe demolire il pregiudizio purtroppo diffuso che “i rom non vogliono integrarsi”, basato sulla considerazione unicamente delle condizioni di (non)vita nei “campi”, dimenticando o ignorando che in quei ghetti sono stati rinchiusi dalle istituzioni profughi rifugiatisi in Italia per scampare ai conflitti etnici divampati nei Balcani o ad una miseria tale da rendere preferibile persino l’apartheid dei campi che ci si ostina a denominare nomadi.
La nostra associazione si occupa di rom dalla sua costituzione. Fra i suoi membri vi sono Rom e gagé (come i Rom chiamano chi non è Rom). Alcuni dei soci italiani hanno accumulato un’esperienza di oltre 20 anni di presenza assidua nei “campi nomadi”. Per cui siamo in grado di mostrare il fondamento delle nostre valutazioni a chiunque desiderasse affrontare davvero la questione Rom a Roma, senza superficialità e facili demagogie”.