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Renato Nicolini: la cultura popolare

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Ci lasciò un giorno d’estate, la stagione cui aveva dedicato una delle sue migliori intuizioni, e il senso di vuoto apparve subito incolmabile.
Renato Nicolini, infatti, era molto più di un comunista innamorato della cultura e del sapere, molto più di un amministratore colmo d’inventiva e ricco di idee rivoluzionarie, molto più persino del promotore dell’Estate romana: Renato Nicolini era l’anima di un’altra idea di Roma e dell’Italia, ovviamente inascoltata e, anzi, contrastata e isolata in tutti i modi.
Una Roma popolare ma desiderosa di guardare al futuro; una Roma aperta e attraente, costruttiva, coinvolgente e in grado di mettere in gioco i singoli quartieri; una Roma nella quale nessuno si sentiva escluso e in cui le istituzioni erano abili nell’ascoltare le esigenze dei vari territori e nel mettere in relazione questi ultimi, componendo così un tessuto sociale coeso, solidale, umanamente straordinario e politicamente capace di indicare alla cittadinanza una missione e un orizzonte comune.
Nicolini fu maestro e mentore: un esempio che purtroppo, da una decina d’anni a questa parte, eccezion fatta per qualche minimo tentativo compiuto dalla giunta Marino, le varie amministrazioni hanno scelto colpevolmente di non seguire.
Era, inoltre, un dirigente umile e competente, una personalità intensa e appassionata, un amante della buona politica e una figura in grado di trasformare le singole intuizioni in proposte concrete, senza mai scadere nella presunzione o nell’autoreferenzialità.
Ci manca Nicolini, architetto e drammaturgo, scomparso cinque anni fa all’età di settant’anni, proprio perché, come detto, avvertimmo subito l’amara sensazione che per un lungo periodo non avrebbe avuto né eredi né emuli; anzi, che le sue idee sarebbero state derise, offese, tradite, accantonate e sostituite con la boria e la cattiva amministrazione di quanti non hanno compreso l’unicità di Roma e il suo essere molto più di una semplice capitale.
Nicolini, con i suoi tratti popolareschi e la sua perfetta conoscenza dell’interiorità delle persone, aveva costruito un modello basato non solo sul divertimento e sull’intrattenimento ma, più che mai, sull’utilizzo dei medesimi per promuovere una coscienza civica e una crescita collettiva della cittadinanza.
Per questo fu amato, rispettato, considerato un galantuomo e rimpianto quando ci disse addio, un amaro sabato d’agosto, senza concederci nemmeno il tempo di immaginare la nostra città senza di lui, senza il suo sorriso, senza la sua esemplare modestia e senza i suoi lampi di genio.
Con l’addio di Nicolini è come se si fosse spenta la luce, senza che nessuno abbia avvertito, almeno sinora, la necessità di riaccenderla. E invece Dio solo sa quanto ci sarebbe bisogno di uno come lui, con il suo slancio, la sua onestà, la sua sua correttezza e la sua capacità di rendere speciali dei momenti perfettamente normali, trasformando la vita quotidiana in arte e dei quartieri talvolta anche periferici in palcoscenici di una sfida inclusiva dalla quale nessuno si sentì lasciato indietro e alla quale tutti, per questo, provarono a dare un contributo.
Era la Roma della speranza in una stagione tutt’altro che semplice. Oggi ci resta solo il degrado, lo sconforto e un lento lasciarsi andare nella calura asfissiante di una capitale senza identità, incapace di sorprendere e di sorprendersi, di innamorarsi e di far parlare di sé in termini positivi, di progettare il proprio avvenire e di prendere per mano le tante, troppe persone che, in questo clima di smobilitazione, si stanno rassegnando al peggio, senza più né la forza né la volontà di immaginare un domani.
Cinque anni, caro Renato, e il vuoto della tua assenza somiglia ormai a una voragine.

P.S. Colgo l’occasione per rendere omaggio a Ludovico Quaroni, grandissimo architetto e urbanista nonché maestro di Nicolini, di cui ricorre il trentesimo anniversario della scomparsa.


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