Locarno. C’è chi ha storto la bocca per il fatto che questo film del grande regista cileno Raul Ruiz, “La telenovela errante” sia stato inserito tra i diciotto film in gara per il settantesimo “pardo d’oro” de festival del cinema di Locarno. Lasciato incompiuto dal suo autore, e completato dalla mogie Valeria Sarmiento, c’è chi obietta che meglio avrebbe figurato nella sezione dei “fuori concorso”. Chissà. Una quache forma di riconoscimento comunque lo merita; tra quelli mostrati in questa rassegna è tra queli che colpiscono e inquietano.
Ruiz: nasce a Puerto Montt, nel 1941; e muore a Parigi, nel 2011. Cineasta eccentrico e prolifico, difficilmente classificabile, noto per la velocità di realizzazione delle proprie opere e la grande libertà creativa, é considerato uno dei registi più atipici del panorama cinematografico internazionale. La non facile comprensibilità dei suoi film ha reso difficile la loro circolazione, insomma è un regista di nicchia, per palati fini. E tuttavia attori del calibro di Marcello Mastroianni, Catherine Denevue, John Malkovich si sono detti lusingati per aver lavorato con lui.
Alle spalle studi di teologia, prima di accettare un’offerta del dipartimento di cinema sperimentale d Santiago del Cile che ne 1960 gli consente di produrre la sua prima opera: “La maleta”. Nel 1968, dopo brevi esperienze in TV e in teatro dirige “Tres tristes tigres”, adattamento del romanzp di Guillermo Cabrera Infante, e vince il Pardo d’oro a Locarno. Lo stesso anno sposa Valeria Sarmiento, che sarà la montatrice della maggior parte dei suoi lavori.
Nominato consigliere per il cinema durante il governo di Salvador Allende, è costretto all’esilio dopo il colpo di Stato di Augursto Pinochet. Si rifugia in Francia, dove prosegue l’attività cinematografica. Tra le opere più importanti “Le tre corone delmarinaio” del 1982; “La ville des pirates”, del 1983, ispirato alla storia di Peter Pan. Nel 1996 il suo primo film con un budget consistente: “Tre vite e una sola morte”, con Mastroianni. L’anno dopo vince ‘Orso d’agento a Berlino, con “Genealogia di un crimine”, interpretato dalla Denevue e da Michel Piccoli. Vengono poi “Autopsia di un sogno” con Anne Parillaud e William Bakdwin; “Il tempo ritrovato”, con Malkovich, Emmanuelle Béart e ancora la Denevie; “Il figlio di due madri”, con Isapebee Huppert; “Klimt”, ancora Malcovich. Un’infezione polmonare lo uccide a 70 anni, mentre lavora a “As Linhas de Torres Vedras”.
Torniamo ora a “La telenovela errante”; ha una storia che merita d’essere raccontata. E’ la storia di un film ritrovato. Un film che Ruiz non ha potuto completare cominciato nel 1990, al suo rientro dall’esilio nel Cile liberato dalla dittatura. La “descrizione” nelle parole dello stesso Ruiz: “il film è imperniato sul concetto di telenovela e strutturato sul presupposto che la realtà cilena non esiste, ma è un collage di soap. Ci sono quattro province audiovisive, e si teme la guerra fra fazioni, i problemi economici e politici sono immersi in una gelativa di fiction e divisi in episodi seriali. L’intera realtà cilena è inquadrata dal punto di vista della telenovela, che fa da filtro della realtà stessa”. Si puo’ forse capire perchè Ruiz non riesce a completare il film, in un Cile che non è piu’ oppresso dalla dittatura, ma dove Pinochet non viene chiamato a pagare i suoi crimini, i suoi complici restano sostanzialmente impuniti, i grandi potentati, chiesa cattolica compresa, lo vedono ancora come il suo alfiere e nume protettore. Ruiz decide di regalare la sua biblioteca, il suo archivio e le sue documentazioni, cartacee e filmiche a un Fondo negli Stati Uniti; li’ restano custoditi per anni, fino a quando la Sarmiento non “recupera” questa “incompiuta”: opera complessa, surreale, amaramente divertente; una straordinaria allegoria, con tratti profetici. Questo film restaurato e montato dalla moglie, che cofirma la regia, “racconta” il Cile in forma di telenovela. Il film – che certo risente del fatto che Ruiz non lo ha potuto completare, e chissà come lo immaginava nella sua forma “finita” – è una sorta di parodia della storia cilena dopo la dittatura. L’artificio usato è appunto quella della soap opera; attraverso la telenovela si filtra la realtà cilena: sette giorni, scanditi in altrettante puntare ognuna di durata variabile tra i cinque e i quindici minut; il pretesto per portarei in scena: tematiche di natura politica, economica e sociale, “mostrate” attraverso piccoli televisori da salotto non per famiglie sedute sul divano ma per i personaggi di altre soap….
Grazie a un sapiente dosaggio di metafore e simbolismi Ruiz prima, Sarmiento poi colpiscono le istituzioni ridicolizzandole nei loro stereotipi e luoghi comuni, con “leggerezza” e implacabili, e centrano l’antico ovidiano obiettivo: dire la verità, ridendo.
Opera complessa, surreale, amaramente divertente; una straordinaria allegoria, con tratti profetici… Ecco, se “La telenovela errante” ottenesse un qualche riconoscimento, a giudizio di chi scrive sarebbe cosa buona e giusta. E alla fine, inevitabile, la domanda: ma “La telenovela errante” è cosa solo cilena? E tanto per dire: anche noi in Italia non s’avrebbe bisogno di un Ruiz, di una Sarmiento?