Se esiste un inferno ciò che più gli assomiglia è quanto sta avvenendo in Yemen. Una devastante epidemia di colera, l’emergenza alimentare e la denutrizione ormai consolidate da mesi, gli scontri armati senza fine e i bombardamenti indiscriminati sui civili. Un’apocalisse umanitaria che in poco più di due anni di conflitto ha stremato, e sta sterminando, il popolo yemenita.
Solo ieri i morti in due diversi raid aerei condotti dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita, su un quartiere di Sana’a e un hotel di due piani poco distante dalla capitale dello Yemen, sono state decine.
Secondo le prime notizie diffuse dalla televisione locale Al Maseera e riprese da Al Jazeera, le vittime sarebbero per lo più civili.
Il numero più alto di caduti nel primo bombardamento, come confermato dai responsabili delle organizzazioni umanitarie sul terreno.
Hussein Al Tawil, capo della Mezzaluna Rossa in città, ha riferito che almeno 35 persone hanno perso la vita nel sobborgo settentrionale di Arhab.
Altre fonti, vicine alle milizie sciite che controllano Sana’a hanno fornito bilanci ancora più gravi. L’agenzia di stampa ‘Saba’ parla di oltre 70 morti e un centinaio di feriti.
Gli scontri e le azioni militati aeree so sono intensificate nelle ultime 24 ore.
Il leader dei ribelli yemeniti che controllano la capitale, Abdul Malik al Houthi, ha lanciato un duro attacco contro il suo principale alleato, l’ex presidente Ali Abdullah Saleh. In un discorso che sembra riferirsi al Congresso generale del popolo guidato da Sahel, al Houthi ha affermato che “qualcuno sta cercando di smantellare lo Yemen” cospirando all’interno del paese.
Il leader dei ribelli in particolare ha denunciato il tentativo di gruppi stranieri di infiltrarsi negli ambienti politici interni. L’emittente televisiva satellitare “Al Arabiya”, che sostiene le posizione di Arabia Saudita ed Emirati Arabi nel conflitto contro le milizie sciite, ha evidenziato che le parole di Al Houthi sono rivolte proprio al partito di Saleh, accusato di aver intavolato una trattativa segreta con i paesi del Golfo, escludendo di fatto quelli che un tempo erano suoi alleati nella lotta contro il governo di Abd Rabbo Mansour Hadi. Reo di aver parlato di ”milizie” riferendosi agli insorti, “superando” così la linea rossa e aprendo le ostilità con quella che è stata definita come una ‘pugnalata alla schiena’, una forma di tradimento, Saleh è ora considerato il principale obiettivo da abbattere.
I timori che le tensioni dei giorni scorsi potessero favorire nuove violenze a Sana’a, dal settembre del 2014 sotto il controllo dei ribelli, si sono concretizzati nel peggiore dei modi. Nonostante i continui raid aerei, si sono susseguiti violenti scontri tra i gruppi armati delle due fazioni contrapposte.
Quella in corso in Yemen è una guerra feroce, peggiorata con l’intervento della coalizione internazionale a guida saudita che sta cercando di piegare la resistenza della ribellione sciita e ripristinare il governo di Abd Rabbih Mansour Hadi.
Ma l’attenzione dei media mainstream è nulla.
Eppure le cifre sono devastanti. Secondo le ultime stime Onu, dal marzo 2015 i morti sono almeno 15mila, tre milioni di yemeniti sono stati costretti a lasciare le proprie case, 18,8 milioni hanno bisogno di assistenza e di protezione umanitaria, oltre 7 milioni hanno difficoltà ad avere cibo e più di 8 milioni ad acqua pulita e servizi igienici.
Quasi 3,3 milioni, di cui 2,1 milioni di bambini ci informa Unicef, sono gravemente malnutriti.
In Yemen si muore per cause evitabili: nel 50% dei casi per malattie infettive, problemi nutrizionali, perinatali e materni, e nel 39% dei casi per malattie croniche, come quelle renali, diabete, e ipertensione per la mancanza di accesso alle terapie.
Da ottobre 2016 sono stati segnalati inoltre oltre 20mila casi di colera.
E poi ci sono le bombe.
Ogni giorno in media 75 persone rimangono ferite o uccise.
La situazione è talmente grave che Medici senza frontiere, dopo aver subito ripetuti attacchi aerei ha deciso di sospendere le attività in sette strutture.
L’episodio più grave il bombardamento dello scorso agosto, che ha ucciso sul colpo 16 persone, tra cui un membro dello staff di Msf, e altri due pazienti sono morti mentre venivano trasferiti all’ospedale di Al Jamhouri.
Le coordinate GPS dell’ospedale erano ben note alle parti in conflitto, compresa la coalizione internazionale, ma pur essendo la sua localizzazione conosciuta da tutti i bombardamenti non l’hanno risparmiato.
Come in Siria, anche quella in Yemen è una guerra che non mostra alcun rispetto per le strutture mediche e i bisognosi di cure.
Nonostante l’ok unanime alla risoluzione delle Nazioni Unite che chiedeva di porre fine agli attacchi contro le strutture mediche e le dichiarazioni affinché fosse garantito il Diritto Internazionale Umanitario, le parti coinvolte nel conflitto continuano a non rispettare il personale medico e i pazienti.
I civili in Yemen continuano a essere uccisi e feriti nei luoghi in cui dovrebbero essere curate.
Il conflitto sta avendo un peso e conseguenze sproporzionate sulla popolazione yemenita.
Nell’indifferenza pressoché totale della comunità internazionale.