La Divisione investigativa antimafia ha ricevuto 903 segnalazioni sulla presenza della ndrangheta (a Trento e nella sua provincia). A denunciare quello che sta succedendo è stato Marco Galvagno, segretario comunale di Lona Lases, un comune in mezzo alle valli del Trentino. Poi, pochi mesi fa, è arrivata un’interpellanza parlamentare e la commissione parlamentare ha tenuto tre incontri nella città. Trento è una città nota in Italia per la qualità della vita. E, a sentire il segretario comunale denunciante, la mafia calabrese è sbarcata dietro al business delle cave di pietra. Sono arrivati nomi pesanti come la famiglia Grande Aracri, ritenuta dagli investigatori come snodo del radicamento delle mafie calabresi al Nord.
Tutto comincia dal 2014 quanto viene sequestrato in Spagna un carico di porfido e cocaina. Tra le società e gli imprenditori noti per la loro attività in Trentino. Galvagni scopre che le imprese specializzate nelle cave-spesso controllate da immigrati calabresi-da queste parti sono molto potenti. I soci magari siedono anche nei Comuni, nelle istituzioni e nelle società che ricevono le concessioni. “E tutto in queste valli ruota intorno alle cave” spiega Galvagni. Nel suo rapporto trasmesso anche ai magistrati trentini, si punta il dito su diverse società. Una, in particolare, la Marmirolo Porfidi è già finita agli onori delle cronache.
Quell’impresa – scrive Galvagni – l’amministratore unico è stato una persona che ha ricoperto incarichi istituzionali. Nel comune di Lona Leses. Ma sono i soci ad attirare soprattutto la sua attenzione: ecco Antonio Muto indagato nel corso della colossale inchiesta Aemilia sulle infiltrazioni della ndrangheta tra Reggio Emilia e Mantova. Quello stesso Muto aveva rapporti con Salvatore grande Aracri. E tutto questo finisce nell’esposto di Galvagni. Che dopo alcuni mesi arriva sulla scrivania del deputato Riccardo Fraccaro che da tempo segue la vicenda di Galvagni e che oggi dice: “Le mafie prosperano non soltanto con la complicità ma anche con la indifferenza”.
Torna in mente lo sfogo di Luigi Bonaventura, ex ndranghetista di spicco e per anni reggente del clan crotonese dei Vrenna -Bonaventura. Racconta il calabrese: “Il Trentino isola felice. Assolutamente sì. Per le organizzazioni criminali è un ‘isola felicissima: “la verità invece è che il Trentino è un chiaro esempio di mandamento occulto. Si tratta di quelle zone in cui la presenza delle organizzazioni mafiose è forte ma anche molto silenziosa.
Il Trentino sembra non accorgersi di nulla. Le cosche gestiscono molti affari riuscendo a mimetizzarsi alla perfezione senza richiamare l’attenzione di nessuno”.