“Gender” non significa il disgregamento della famiglia tradizionale e il termine “trans” non vuol solo dire storie di prostituzione. Meglio chiarirlo subito a chi si accinge a leggere questa conversazione con Camilla, mamma di L. nato maschio ma che si sente anche femmina.È il racconto di una diversa quotidianità, un’intervista che riporta l’identità di genere atipica alla “normalità”.
Come spesso accade in Italia però, quando si tratta di argomenti etici, sono i palazzi della giustizia a fare da apripista rispetto alla società: un esempio – a cui non è stata grande risonanza mediatica – è la sentenza 180 del 13 luglio 2017 con la quale la Corte Costituzionale ha perlomeno scardinato la necessità di traumatici interventi chirurgici o pesanti trattamenti ormonali per ottenere la riassegnazione del sesso anagrafico, permettendo così a una fetta di popolazione di poter vivere se stessa al di fuori del binarismo tipico della società occidentale.
A livello mondiale si stima che le persone transessuali siano circa 2-3 per cento della popolazione.
Camilla, terminate le scuole dei propri figli, ha deciso di lasciare Firenze e partire per la Spagna – per respirare un po’ di aria meno asfittica di quella italiana -, ha deciso che uscirà con un libro e decide e sceglie con quali giornalisti parlare, dei tanti che la cercano. “Non sono in cerca di visibilità, vorrei solo riuscire a dare il mio contributo come mamma nel diffondere una cultura che dalle parole alla mentalità serva per orientare meglio di quanto avvenga oggi”.
Ad esempio?
Bambini gender, non è corretto. Mi stupisco spesso come proprio i giornalisti non abbiano cura delle parole, dei termini corretti. Il termine esatto è gender creative o gender variant se vogliamo usare i soliti termini inglesi, altrimenti possiamo dire bambini con una identità di genere atipica.
Nella pratica cosa significa essere mamma di un ragazzino gender creative?
All’interno del nucleo familiare non cambia nulla. Ogni figlio ha le sue peculiarità. Nella società vuol dire vivere sempre esposti e circondati da persone che si sentono autorizzate a “offrire” consigli non richiesti e mettere in discussione la tua capacità genitoriale.
Come vanno le cose a scuola?
A scuola è tutto molto tranquillo. Ogni tanto ci scappa la presa in giro. Ma quella ci sarebbe comunque per un’altra cosa. C’è sempre stata e sempre ci sarà, non dobbiamo nemmeno esagerare. Non fare mistero del proprio essere aiuta gli altri a capire e abituarsi che ognuno è differente. Gli insegnanti sono sempre stati molto aperti anche se l’argomento non è mai stato trattato direttamente tanto meno a livello di istituto comprensivo.
Quanto è complicato orientarsi rispetto a qualcosa che di per sé nella nostra società è considerata come un’anomalia.
Io non sono una persona molto attenta alla norma perciò quello che mi premeva era la serenità di mio figlio se poi per la società era una anomalia peggio per loro. Ci sono davvero parecchie cose che stanno marcendo nella nostra società. Penso che l’ultimo dei problemi dovrebbe essere se alcune famiglie hanno dei figli con una identità atipica. Ma poi atipica per chi? E per cosa? In due terzi del mondo gli uomini indossano gonne o vestiti! Certo non essere mai compresi, ma anzi essere spesso criticati è pesante. E sicuramente non voglio banalizzare chi non si riconosce nel proprio corpo.
Nell’immaginario collettivo il termine “trans” evoca per lo più qualcosa che ha a che fare con la prostituzione.
Se i transessuali spesso sono legati alla prostituzione non è perché sono transessuali quanto piuttosto perché persone che sono state buttate fuori di casa e non riescono a trovare un lavoro, respinte e non assunte: sono emarginate e discriminate. Del resto la società non si è mai assunta mezza responsabilità. Ecco, credo che sia giunto il momento che si inizi.
Cosa la spaventa?
La sottovalutazione di problematiche profonde che insorgono con l’adolescenza. Un processo di transizione non è una passeggiata, soprattutto in un paese come il nostro in cui assistenza e informazione sono praticamente pari a zero. Ma vedo che in paesi, come la Spagna, in cui i diritti umani sono sacrosanti e supportati da una rete sociale e medica pubblica, i ragazzi sono sereni. Quindi più vado avanti più mi convinco che lo stress che queste persone sentono è esterno e non interno.
A cosa è servito aprire il suo blog “Mio figlio in Rosa”?
Il mio blog è servito a me e alle famiglie come la mia che mi hanno contattato a non sentirci più sole, a confrontarci, a metterci insieme per salvaguardare la serenità dei nostri figli. A breve fonderemo l’associazione e cercheremo di far sì che anche in Italia, come già avviene in molti altri paesi del mondo, venga fatta informazione e vengano create delle leggi a tutela di questi bambini che hanno diritto di avere un’infanzia serena come tutti gli altri.
Maschi, femmine e poi varianza di genere, non crede che in Italia ci sia il terrore che se vengono meno le barriere dei ruoli sociali di genere in primis nella famiglia?
In Italia c’è il terrore di tutto. Siamo un popolo tradizionalista. Non credo però che siamo tradizionalisti perché ci crediamo, ma piuttosto perché siamo pigri di natura. Perché cambiare qualcosa quando si può chiudere un occhio e far finta che vada tutto bene? Pur cui fingiamo di avere famiglie perfette, fingiamo che nostro figlio non sia gay fregandocene che la nostra non accettazione lo renda infelice.
Del resto è più semplice restringere il campo al “rosa e azzurro”.
Certo. Magari costringiamo nostra figlia a vestirsi da bon bon anche se si sente un maschio fregandocene che i bambini con una atipicità di genere che non vengono accolti nel 43% dei casi tentino il suicidio in adolescenza, fingiamo di avere matrimoni perfetti quando se solo si potesse avere accesso al cellulare di chiunque dio solo sa che cosa non uscirebbe. Viviamo senza ammettere nemmeno a noi stessi chi siamo e cosa vorremmo dalla vita. Figuriamoci che succede se arriva un bambino con una tale sicurezza e forza di volontà da sostenere a 5 anni fermamente la propria identità! Non mette in discussione solo i ruoli sociali ma ci mette di fronte a tutte le nostre incapacità.
Le prime cinque cose che si sentirebbe di suggerire ad un politico che realmente fosse interessato alle questioni di atipicità di genere.
Lo inviterei a cena da me per rendersi conto di persona che i bambini sono bambini e basta. Lo inviterei a contattare le associazioni in giro per l’europa per capire quanto arretrata sia l’Italia e di quanto ci sia bisogno.
Gli chiederei di fare informazione perchè solo attraverso l’informazione e l’educazione ci può essere comprensione e inclusione.
Gli chiederei di monitorare il lavoro degli “addetti ai lavori” perchè la priorità è il benessere delle persone e non i curricula dei singoli.
Infine gli farei ripetere all’infinito i punti 1-2-3-4 fino a quando qualcosa non inizia a cambiare.