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In Salento esiste “la mafia di cui parla la Mastrogiovanni”? La risposta dei salentini

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Il Salento è una terra ricca e colorata, animata da suoni, sapori e bagliori che d’estate raggiungono la forma più altisonante e fragorosa. La stagione più calda dell’anno è un autentico “momento di gloria” per il Salento che fa letteralmente il pieno di turisti e vacanzieri, ma è anche e soprattutto lì che attecchisce la malavita e lungo i più quotati lidi gallipolini sfoggia l’abito più sfrontato. Lo sostiene e lo denuncia da anni nelle sue inchieste la giornalista Marilù Mastrogiovanni, attaccata e minacciata più volte pubblicamente dall’amministrazione di Casarano – il comune in cui vive e dove risiede la redazione de “Il tacco d’Italia”, il giornale fondato dalla giornalista salentina –  che attraverso l’affissione di manifesti pubblici ha perfino invitato la popolazione ad “agire” contro “quel giornalismo”.

Lo scorso giugno, poche ore dopo la riconferma del sindaco uscente Gianni Stefano alla guida del comune leccese, le mura di Casarano vennero “adornate” con altri manifesti che raffiguravano la Mastrogiovanni seppellita in una fossa. Stefano, il sindaco di Casarano, costantemente ribadisce che in quel comune, come in tutto il Salento, la mafia non esiste. Sono moltissimi i salentini che sposano questa corrente di pensiero che non recepisce di buon grado il lavoro della Mastrogiovanni, anzi, lo condanna duramente, additandolo come una squallida ed ingannevole menzogna montata ad arte per emulare dei “miti”, come Renata Fonte, assessore alla cultura e alla pubblica istruzione del Comune di Nardò negli anni ‘80, vittima innocente della criminalità, freddata da tre colpi d’arma da fuoco mentre rincasava, probabilmente, per aver impedito la speculazione edilizia nel territorio di Porto Selvaggio.

“Per un giornalista “farsi pubblicità parlando di mafia” è la strada più facile da percorrere per fare carriera”. Questa la giustificazione che una nutrita frangia di popolazione locale attribuisce alla parola “mafia” e all’impegno umano e professionale della Mastrogiovanni.

Secondo la maggior parte dei salentini, un tempo, forse, la mafia esisteva, ma il lavoro svolto dal procuratore Cataldo Motta ha sradicato il problema. Paradossalmente, lo stesso Motta, di recente ha dichiarato che la Sacra Corona Unita non ha cessato di avere influenza nel Salento, pur con modalità d’azione diverse per Brindisi, Lecce e Taranto. «Bisogna evitare che il consenso sociale prenda piede e si sviluppi – ha affermato Motta, in pensione dal dicembre del 2016 – in modo da celare l’esistenza e la vivacità della Sacra Corona Unita, che continua, seppur con un atteggiarsi diverso, ma non bisogna lasciarsi ingannare dalla pax mafiosa.»

I salentini, tuttavia, sostengono che quello che resta oggi sono deboli e sporadici focolai, non a caso virati nelle piccole località dell’entroterra, per beneficiare di quella tranquillità e di quell’isolamento peculiari di quei luoghi. Si tratta più che altro di “fantocci che vogliono emulare i boss di un tempo, ma attribuirgli lo status di mafiosi equivarrebbe a svilire “la serietà” della stessa mafia.” Ad esternare questi concetti sono principalmente le vite “statiche”, nate, cresciute e vissute sempre in quei luoghi ed istruite nel rispetto di un credo ben preciso: parlare di mafia vuol dire infamare la propria terra e quindi macchiarsi del più riprovevole dei peccati che un essere umano può commettere. È soprattutto sull’omertoso beneplacito del popolo che la mafia ha fondato un solido ed occulto “impero del male”, difficile da stanare proprio perché abilmente radicato ed addentrato tra le maglie della vita ordinaria. Una malavita sobria che sa quando ostentare potere, sfarzi e forza.
Sul versante opposto, lambito da tutt’altra corrente di pensiero, ci sono i giovani, affamati di sapere, desiderosi di riscatto e sempre più innamorati della legalità. Per loro la Mastrogiovanni è “una grande” che “non deve mai mollare”.

Poi ci sono altri due prototipi d’umanità adottati dal Salento che, senza indugi e con lucida analisi critica, non hanno paura di raccontare che la mafia in Salento esiste, eccome: i napoletani e gli extracomunitari.
Una donna cresciuta tra le strade della “Napoli difficile”, quelle della periferia Nord negli anni della “faida di Scampia” e docente in un istituto scolastico di Lecce da 11 anni, punta il dito contro un modo di fare informazione, a suo dire, troppo monotematico: “si è lasciato che la camorra napoletana diventasse un business e che i media e le serie Tv “educassero” perfino l’opinione pubblica al “culto della malavita” e si stenta a dare spazio e risalto a delle tematiche ugualmente gravi e critiche, perché localizzate in realtà mediaticamente non appetibili. In Salento, probabilmente, non si ha interesse a “contaminare” agli occhi dell’opinione pubblica “la reputazione” di un luogo quotatissimo come meta del turismo estivo. Qui in Salento molte persone vivono di turismo e chi vive qui e “vive di altro” ha proprio l’impressione che oscurando il “problema mafia” si tuteli l’interesse e il benessere comune, anche per questa ragione.”
Il cuore del Salento, Lecce, appare una città cosmopolita, ma qui l’integrazione si chiama “tolleranza del diverso”, come il più classico degli scacchieri che prevede l’alternanza di un tassello bianco ed uno nero, in un equilibrio armonico e bilanciato che non scontenta nessuno. Gli extracomunitari che vivono in Salento, tuttavia, palesano una paura forte e viva nei riguardi della mafia. Proprietari di piccole o grandi attività commerciali, lavoratori in regola a tutti gli effetti, mendicanti, venditori ambulanti: non è lo status a determinarne la repulsione verso la mafia. Tutti raccontano di “brutte esperienze” che, almeno una volta, li ha portati a dover trovare un compromesso o a negoziare un accordo con chi detiene lo scettro del potere del male per non rischiare la vita.
Migranti sfruttati nei campi, lungo le coste e spremuti come limoni anche tra le mura della città, così come accade in tutte le altre città italiane.
Cosa c’è di diverso in Salento?
La rabbiosa riluttanza che la maggior parte degli abitanti locali manifesta nel parlare di mafia, come se bastasse questo per risolvere ed allontanare il problema.


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